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Non c'è più religione recensione] - A Portobuio, in un' isoletta del sud, il sindaco Claudio Bisio cerca di organizzare il presepe vivente solo che mancano i neonati per interpretare Gesù Bambino. Si rivolge così alla comunità locale musulmana, capitanata dall'apostata Alessandro Gassmann (con due n) dove tra colori, spezie e narghilè, i bambini, si sa, abbondano. La crisi demografica, l'integrazione, lo svuotamento dei piccoli borghi, l'arrivismo della politica, la fuga di cervelli, la modernizzazione della chiesa, la disoccupazione e il lavoro nero. In 90 minuti scarsi Luca Miniero ce li butta dentro un po' tutti i problemi più di moda nell'Italia di oggi, quelli che riempiono le cronache dei giornali, quelli che fanno la fortuna di Paolo Del Debbio su Rete 4 il quale può presentare servizi dal titolo "qui ci stuprano e noi paghiamo" senza perdere il buon umore. Manca giusto un accenno alle scie chimiche e ai femminicidi, per il resto c'è tutto, gettato nel calderone e rimescolato alla rinfusa, incastrato a forza dentro uno script in cui a forza di spingere si sono persi coerenza e verosimiglianza. Come nella migliore tradizione italica, Non c'è più religione avrebbe l'ambizione di essere una commedia brillante che si fa specchio della società utilizzando come pretesto un episodio faceto per giungere a dibattere di problematiche importanti e attuali, e l'idea di partenza, in linea teorica, è ben congegnata. Il film però se da un lato non ci prova neanche ad approfondire con maggiore serietà e attenzione le questioni, reali, che si limita a citare come se dovesse riempire un casellario, dall'altro, sul versante più propriamente comico, stenta a far risuonare la ristata, non alzando mai il tiro dai soliti stereotipi come il bambino grasso, l'italiano razzista, l'arabo che non mangia il maiale, il ramadan, le assonanze di salam aleik aleik salam che fanno sempre tanta simpatia. Luca Miniero prova a riproporre la dicotomia fondata su pregiudizi contraddetti che ha decretato il successo di Benvenuti al sud, ma se là vi era alla base un meccanismo ben oliato (frutto di una sceneggiatura altrui) in Non c'è più religione si sente la mancanza di un disegno d'insieme, che funzioni da collante tra le singole gag, che trasformi le gag in una trama unitaria, che conduca la trama verso una soluzione definita. Prova anche a gettare un occhio a Mediterraneo e alla poetica di Salvatores, introducendo l'elemento sentimentale/nostalgico nell'amicizia, tradita e poi ritrovata, tra i tre protagonisti (tra Bisio e Gassmann, la fanciulla contesa è Angela Finocchiaro), ma sia le loro singole caratterizzazioni, sia la rievocazione del passato che li divise, sia la narrazione del loro riavvicinamento presente, sembrano così improvvisati da risultare fasulli, così come risulta fasullo, per i medesimi motivi, l'intero film. E a consolarci non c'è neanche Marco Giallini che da quando si è calato nei panni di Rocco Schiavone, qua lo vogliamo dire, è assurto al rango di nostro attore preferito di tutti i tempi.
(La recensione del film "
Non c'è più religione" è di
Mirko Nottoli)
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