di R. Gaudiano
[
Noi che abbiamo fatto la dolce vita recensione] - Tullio Kezich, bravo critico e sceneggiatore cinematografico, durante le riprese dell'indimenticabile film di Federico Fellini, "La Dolce Vita" fu coinvolto nella straordinaria avventura della realizzazione del capolavoro felliniano come osservatore esterno. E lì scrisse un diario, un vero e proprio quaderno d'appunti giornaliero, nel quale annotò i momenti memorabili di quella meravigliosa avventura vissuta con tutta la troupe, attori, sceneggiatori che costituivano l'impalcatura dell'humus onirico felliniano. Kezich definisce quell'esperienza da spettatore di arte cinematografica un'avventura unica, pura, cristallizzata in sei mesi indimenticabili. Il diario di Tullio Kezich è diventato un libro, "Noi che abbiamo fatto la dolce vita" edito da Sellerio, che ha dato l'idea al regista Gianfranco Mingozzi per la realizzazione nel 2009 dell'omonimo documentario. Mingozzi, documentarista etnografico con importanti lavori sul sud italiano, nel 1959 era un giovane aspirante regista e partecipò come assistente volontario alla regia de "La Dolce Vita" dove ebbe l'onore, su incarico di Fellini, di battere il primo ciak. Gianfranco Mingozzi con "Noi che abbiamo fatto la dolce vita", prodotto da Cesare Landricina, con la collaborazione artistica di Claudio Barbati ed il montaggio di Mascia Calamandrei, ci conduce con sorprendente spontaneità dietro le quinte del capolavoro felliniano, composito ed ampio, che segnò una tappa fondamentale non soltanto nella carriera di Fellini, ma anche nella storia del cinema italiano del dopoguerra. Ed è così che guardando questo suggestivo lavoro documentaristico del regista romagnolo, il mondo immaginario che scorre sullo schermo ci appare più somigliante alla vita reale, attraverso le varie interviste a personaggi che "vissero" il set di quella dolce vita, nel rapporto costante, imprevedibile ed onirico con Federico Fellini. Gli intervistati, da Marcello Mastroianni a Magalì Noel, Anita Ekberg, Micol Fontana, Anouk Aimée, John Francis Lane, Riccardo Garrone, Valeria Ciangottini, figure strutturanti di quel mondo del "douceur de vivre" felliniano, calano giù la maschera e raccontano in modo schietto e nostalgico quella che è stata un'esperienza indimenticabile e, come dice lo stesso Mastroianni, unica, mai più vissuta emozionalmente su nessun set. Non vi era copione, nessuna sceneggiatura articolata era prevista da Fellini, che, carico della sua potenza espressiva, improvvisava dialoghi e scene, lasciando all'attore la padronanza di esprimere il proprio personaggio in ogni preciso contesto scenico. "Une page", ripete più volte nell'intervista Magalì Noel, raccontando di quando si apprestò a leggere la sceneggiatura del film che Fellini le aveva dato con la proposta di scritturarla nel film. Magalì Noel incredula davanti a quella sola ed unica pagina della sceneggiatura, accettò la parte, un po' scettica, messa alla prova dalla risata ironica ma rassicurante del regista. Se Magalì Noel non perse l'occasione di vivere quella dolce vita, per il cineasta Dino De Laurentis e per l'attrice tedesca Luise Rainer, vincitrice di ben due Oscar consecutivi nel '37 e nel '38, il pentimento di aver rifiutato di far parte di quel meraviglioso baraccone felliniano non fu cosa da poco. De Laurentis scelse di girare "La grande guerra" al posto della Dolce Vita e la Rainer rifiutò il ruolo dell'amante attempata di Mastroianni. L'improvvisazione, (lungamente pensata come sostiene Kezich) era una prerogativa felliniana, una dote sicura e rassicurante, raccontano Giulio Paradisi ed Enzo Doria, due dei quattro "paparazzi" del film, usati come jolly per riempiere le diverse inquadrature. La testimonianza di Lucia Mirisola, nel film assistente costumista di Piero Gherardi, art director dell'ambientazione e dei costumi, rende con magnificenza l'idea dell'importanza degli abiti ideati per "La dolce Vita", altrettanto protagonisti dell'opera cinematografica. In quella dolce vita Fellini incluse, doverosamente, osando molto alto, due travestiti in scene esibizioniste del tutto improvvisate. Uno dei due era Dominot, diventato, molto tempo dopo, famoso a Roma per le sue esibizioni canore sulla Piaf. Le testimonianze dello stesso Mingozzi e Kezich sono preziose nel rendere credibile la figura straordinaria di un Fellini, resa ancor più plausibile attraverso le numerose scene di repertorio de "La Dolce Vita", frammenti di una Roma corrotta e corruttrice, fra nobili anacronistici ed intellettuali falliti, speculatori e arrivisti, un viaggio verso l'essenza e…la dolcezza della vita. Nella rappresentazione prospettica di testimonianze accorate e ritagli di sequenze filmiche, "Noi che abbiamo fatto la dolce vita", per i retroscena di quella realtà creativa, invisibile ed affabulata, di cui si nutre il set di un film, stupisce e conquista noi spettatori, sorpresi, allo scorrere dei titoli di coda, con il sorriso sulle labbra.
(La recensione del film "
Noi che abbiamo fatto la dolce vita" è di
Rosalinda Gaudiano)
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