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Nero infinito recensione] - Restiamo in attesa. Di cosa? Dell'avvento di un cinema thriller-horror made in Italy degno del suo nome. Finora, purtroppo, niente di fatto: solo piaggerie e approssimazioni. Con l'aggravante, ahinoi, della scarsa frequentazione del genere da parte dei nostri cineasti, ormai da varie generazioni: mancanza che di certo non aiuta a colmare il gap. Non si salva dalla deriva manieristica Nero infinito, dell'esordiente Giorgio Bruno. Classe 1985, il giovane regista sconta l'ingenuità narrativa e la poca confidenza con la macchina da presa e confeziona un polpettone noir che strizza l'occhio ai gialli ansiogeni e truculenti dell'ultima Hollywood, ma che resta tremendamente italiano nella goffaggine dell'intrigo e nella macchinosità della fotografia. La trama: un serial killer impazza in un'anonima cittadina del Sud Italia, sequestrando e poi macellando le proprie vittime. Per i suoi delitti, l'omicida sembra ispirarsi ai romanzi di una scrittrice locale, tale Dora Pelser. Sul libro nero dei sospettati finiscono, giocoforza, la stessa Dora, il suo editore e un barista-pittore che lavora alle illustrazioni dei libri incriminati. Sulle loro tracce, arranca una coppia di detective che fa (male) il verso a Mulder&Scully. Una masnada di personaggi improbabili, il cast di Nero infinito: una ciurma di macchiette, estremizzate in quello che avrebbe dovuto essere appeal cinematografico e invece risulta tipicità da manuale. Il ritmo non decolla, la storia non avvince, i picchi violenti stonano più per l'anomala collocazione in un contesto nostrano (così diverso dai sobborghi americani, in cui certi orrori sembrano davvero di casa) che per l'effettivo potere scioccante. Il piglio è scolastico, la fantasia latita: la rinascita del genere è ufficialmente rimandata.
(La recensione del film "
Nero infinito" è di
Elisa Lorenzini)
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