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IERI OGGI E...

MONSIEUR VERDOUX di C. Chaplin

di Francesca Lenzi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"Buonasera. Permettete che mi presenti: Henry Verdoux, defunto, ma onesto impiegato di banca. Per essere più esatti, onesto impiegato fino alla crisi economica del 1930, che mi lasciò, improvvisamente, disoccupato. Fu allora che cominciai a specializzarmi nella liquidazione… di distinte signore. Un lavoro, vi assicuro, strettamente commerciale, impiantato per mantenere la famiglia. Mi si lasci dire, però, che il mestiere di Barbablù è tutt'altro che redditizio; e, che per imbarcarsi in simile impresa, bisogna essere dotati del più candido ottimismo. Come me, purtroppo. Ed ecco la storia." Henry Verdoux è un omino elegante, negli abiti come nel comportamento, galante e loquace ai limiti della leziosità e della logorrea. Insolentemente, offre saggio dell' invidiabile arte del corteggiamento, qualità in lui esageratamente spiccata; prodigo di adulazioni, tanto eccessive da figurarsi immediatamente, agli occhi dello spettatore più svogliato, quali lusinghe concepite al solo fine di ingannare la donna innamorata, conduce tale impresa con ostinata sfacciataggine, adeguando parole e maniere alla vittima in questione. E se la preda non dovesse abboccare subito all'amo, la battaglia persa non scalfisce affatto la sicurezza dell'uomo, intenzionato a non arrendersi di fronte alle probabili resistenze, che possano disturbare il suo lavoro. Perché di lavoro si tratta. Verdoux ha una moglie deliziosa, una figlio adorabile, a cui intende dare una vita più che dignitosa. È forse colpa sua se è a causa della crisi economica, ha dovuto inventarsi un altro impiego? No davvero. Farebbe volentieri a meno di viaggiare senza sosta da una città all'altra del paese, da una casa all'altra della nazione, simulando, di volta in volta, infinita dedizione alla consorte del luogo. Ma non può agire diversamente. Da questa presa di consapevolezza circa l'inevitabilità delle proprie azioni, Verdoux accoglie il nuovo lavoro, senza porsi dubbi sulla liceità della forma, attraverso cui è necessario espletare la funzione. Assolve la propria coscienza sulla base del raggiungimento del benessere familiare, piegandosi alla patita sopravvivenza nella società: "Gli affari sono, in sé stessi, spietati". Società ipocrita, che giustifica la guerra, condannando duramente il singolo omicidio: "Non rende il delitto" "No, non al dettaglio", risponde amaramente Verdoux. Chaplin, smessi i panni larghi e informi dell'augusto Charlot, indossa le vesti del clown bianco, dotato di grazia, acume, ambizione e supponenza, certo delle proprie capacità come della pochezza di spirito di chi lo circonda, preda designata, nel momento stesso in cui gli occhi di Verdoux posano lo sguardo su di lei. Il personaggio di Charlie Chaplin ha perduto la cialtronesca simpatia che rendeva indulgenti verso la sua povertà, economica, e metaforica, per far posto a un individuo ammirabile per intelletto e carattere, ma altrettanto deplorevole e condannabile, ancor più perché borghese, troppo simile per ruolo al pubblico in sala, costretto a confrontarsi con una scheggia impazzita, esplosa dall'interno del sistema, non più così perfetto come poteva sembrare. Non il forestiero, lo sconosciuto è il nemico, bensì l'abitante stesso della casa, al quale risulta inaccettabile adeguare la propria esistenza ai vantaggi della collettività, avviando, in tal modo, una ribellione intestina, violenta ed inattesa, difficile da contrastare più di qualsiasi altro attacco proveniente dall'esterno. Chaplin disegna una figura meschina, intrisa di contraddizioni, fisiche e comportamentali. Verdoux possiede l'aspetto rassicurante di un docile damerino, attento più alla forma che ai contenuti; singolare, insistente, magari, a tratti persino molesto, ma sostanzialmente innocuo, all'apparenza. Elargisce senza freno dichiarazioni d'amore, perpetuando l'inganno come una sorta di incombenza lavorativa da sbrigare, l'omicidio come una pratica d'ufficio, fastidiosa, ma necessaria per ottenere il meritato stipendio. Verdoux, uomo brillante e mite, un attimo dopo, calcolatore e glaciale assassino. sino. Per necessità. È bene non perdere di vista questo fondamentale elemento. Il regista allestisce una storia densa di spunti comici, a momenti esilaranti, all'interno di un racconto macabro, tragico per l'argomento trattato; un umorismo obbligato dalla stessa drammaticità, sterile terreno altrimenti di un'esistenza priva di vita; un'eco irresistibile del Charlot abbandonato, nascosto, mai cancellato, latente e pronto a lasciare traccia di sé in quelle movenze saltellanti, nei gesti sconclusionati, nelle accelerazioni improvvise, nell'incedere grottesco di due piedi divergenti. Verdoux, vittima di una società corrotta, che punisce la difesa di un uomo disperatamente ancorato a una dignità rubata, gravato della responsabilità familiare, spogliato della possibilità di prendersene cura, interdetto dagli insegnamenti amorali che ne ottiene: "Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo. Il numero legalizza, mio caro amico". È forse eresia soffermarsi un momento e dubitare? Disonesto, far scappare dalle labbra un gelido e aspro sorriso di comprensione per un assassino? Incomprensibile, provare un sotterraneo e doloroso compatimento nel seguire con lo sguardo il condannato incontro alla morte? Chaplin costruisce, intorno a un personaggio eterogeneo e indimenticabile, un prisma di emozioni, pensieri, ambiguità e paure, che rendono Monsieur Verdoux un capolavoro senza tempo. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.

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