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Minari recensione] - Minari di Lee Isaac Chung esce al cinema dal 29 aprile. Con 6 candidature agli Oscar 2021, Minari si aggiudica 2 statuette d'oro per la Miglior regia e Miglior sceneggiatura originale. Scritto e diretto dallo stesso regista, Minari è un piccolo gioiello autobiografico, come dice lo stesso regista. Chung, sudcoreano di origine, vive con la sua famiglia in America, la stessa del sogno di Jacob, il suo protagonista.
Jacob, il bravissimo Steven Yeun, con sua moglie Monica, intensa Yeri Han, e i due figli, Anne, Noel Cho, e David, l'incantevole piccolo Alan Kim, cercano un luogo dove abitare, una casa dove vivere e progettare un futuro. Dalla California si trasferiscono all'Arkansas dove per iniziare si propongono al sessaggio di pulcini: i maschi, perché inutili, saranno mandati nei forni; le femmine spinte alla covata. Il viaggio di Jacob comincia nel tempo del governo Reagan, il tempo della deregulation, gli anni Ottanta colmi di nuove energie. L'inizio del film è la fine del viaggio della famiglia di Jacob che ha attraversato campagne immense e silenziose, dove la popolazione inesistente. La casa che propone alla famiglia però, non assicura stabilità: è su ruote, troppo esposta agli uragani, troppo distante dal primo ospedale nell'eventualità che il piccolo David possa raggiungerlo in tempo, dopo qualche eventuale complicazione della cardiopatia di cui soffre. Monica è spaventata, da subito non si mostra solidale con il sogno di Jacob di costruire una fattoria dove far crescere verdure e frutti coreani: sono più di 30 mila i coreani che migrano in queste terre, insiste il marito, avranno nostalgia dei loro sapori. Così, per Monica, il luogo, la casa è una trappola dalla quale scappare al più presto mentre per Jacob è l'enorme giardino dell'Eden. Per cercare tregua dagli animi surriscaldati dalle difficoltà, non litigate scrivono infatti i bambini sugli areoplanini di carta, Jacob invita la suocera, Soonja, la splendida Yuh-Jung Youn (la ricordiamo in The Housemaid di Byung-sik 2010, a trasferirsi da loro. Ma anche questo non basterà a Monica. Minari si dipana in una ricerca di appartenenza: l'essere americani e ricordare di essere coreani. Mentre il sogno americano per Jacob è una fatica immane, e là dove coltiva manca l'acqua e se porta l'acqua ai campi, manca alla famiglia, per Monica è il dramma del pensare al passato, quando erano ancora estranei ai meccanismi del profitto.
Di fatto, l'arrivo della nonna, che non sembra una nonna perché non fa i biscotti e non racconta storie, dice David, è il contraltare di chi, pur decidendo di lasciare la propria terra, accetta quella nuova ed è capace, senza fatica, di coltivare Minari, una pianta efficace in cucina quanto alla cura del corpo. Non c'è aspetto della vita di tutti i giorni che nonna Soonja, incarnazione della memoria coreana della famiglia, non sappia volgere a un futuro di bene e prosperità per la famiglia. E non si ferma neppure davanti alla nuova cristianità della figlia, lontana per tradizione da lei. Chung infatti descrive quella piccola minoranza di cristiani presente in Corea (più vicini allo spirito evangelico che cattolico) che pure in terra straniera non riesce a diventare vera comunità: si viene in America anche per sfuggire alla chiesa coreana, dirà un'amica a Monica.
Minari si inserisce a pieno titolo tra i film più belli della tradizione coreana e la sua poesia si fa vicino a Poetry di Lee Chang-Dong 2010, dove la saggezza della vecchiaia incontra la nuova generazione persa tra i meandri di sogni affranti restituendo la poesia di uno sguardo sul futuro. Ma anche, Minari è il seme dell'origine da piantare per coloro che hanno lasciato i colori, i sapori della loro terra e cercano un luogo dove farne una memoria rinnovata. I nomi scelti da Chung per i suoi protagonisti sono emblematici e raccontano da soli il sottotesto del film, e per questo vanno ricordati, uno ad uno: Jacob, Giacobbe: è Giacobbe, nella Bibbia, ad essere stato rigettato dai suoi fratelli, venduto schiavo, e che ha per questo guadagnato la fiducia del Signore ricevendo il nome più importante della storia, Israele. Monica è il nome di una delle madri più significative della storia del pensiero occidentale: Monica è la madre di Agostino, filosofo e teologo che cerca di convertire al cristianesimo. Come lei, Monica di Minari cerca di convertire Jacob a tornare sui suoi passi. David, è il nome del re di Israele dal quale discenderà la stirpe del Messia, e il piccolo figlio di Jacob e Monica segna il futuro certo di una vita nuova, con il sorriso birbante e un cuore rinnovato. Infine c'è Paul, l'amico contadino americano che ha fatto la Guerra della Corea e ne ha conservato una banconota come ricordo di un massacro al quale ha assistito, afflitto. Ma Paul, Paolo, è il nome di Paolo, (l'apostolo non-apostolo, perché non era uno di 12) che ha fondato le chiese che ancora oggi si ricordano, inviando ad ognuna una (o più) lettere di esortazione o di rimprovero. Chung, infatti non esita a farne un imitatore di Cristo: dalla bontà che esprime nello svolgere i lavori, alle parole di grande speranza che gli rivolge fino alla via crucis che percorre con la croce in spalla: per fondare la chiesa, gli fa dire il regista. Minari è un film delicato e profondo che certamente si distingue dalla cinematografia sudcoreana che abbiamo conosciuto negli ultimi anni fino a Parasite di Bong Joon-ho 2019. Quello di Chung resta lo sguardo di americano nostalgico capace di riflettere sulle proprie origini e di conservarne memoria per i figli ma comunque non ci distacca dall'aver visto come la Corea abbia segnato e segni ancora il cuore ferito dei suoi concittadini.
(La recensione del film "
Minari" è di
Rita Ricucci)
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