La recensione ddel film Miele

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MIELE - RECENSIONE

Miele recensione
Recensione

di David Di Benedetti
[Miele recensione] - Il 2013 si sta dimostrando un anno pregno di curiose novità per il cinema italiano: molti sono stati, infatti, attori di cinema e teatro che hanno scelto di cimentarsi dietro la macchina da presa trattando temi seri, d'impatto, di notevole impegno sociale e intellettuale. Dopo Luigi Lo Cascio e la sua "Città ideale", Alessandro Gassman e la sua "Razzabastarda", si affaccia sul grande schermo la bella Valeria Golino con "Miele", pellicola liberamente ispirata al romanzo "A nome tuo" di Mauro Covacich e in concorso nella sezione "Un Certain Regard" del Festival di Cannes di quest'anno. La Golino si era già cimentata, in realtà, nel 2010 con il corto "Armandino e il Madre", dove un piccolo bimbo di origini rom faceva del Museo d'Arte Contemporanea di Napoli la sua casa. Già da allora, l'opera prima dell'esordiente regista palesava un notevole interesse per le alterità sociali e le condizioni di disadattamento, con un'attenzione particolare ai contrasti e alle differenze. Per il suo esordio con il lungometraggio, la Golino non poteva scegliere tema più difficile, approdando su un terreno tabù in un Paese con una forte maggioranza cattolica come il nostro. "Miele" racconta, infatti, la storia di Irene (Jasmine Trinca), una giovane ragazza che aiuta i malati terminali a porre fine alla loro tremenda agonia procurando loro, consenzientemente, barbiturici letali in Messico. La sua altalenante vita passa tra incontri fugaci con Stefano (Vinicio Marchioni), nuotate, viaggi in bicicletta e in treno finché, un giorno, la giovane incontra l'ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi), il quale, nonostante non abbia un tumore, ha deciso comunque di porre fine alla sua vita. L'evento farà nascere tra i due un rapporto sul filo dell'intimità e della comprensione reciproca che modificherà totalmente le convinzioni della giovane. Con una sensibilità e un'attenzione ai particolari davvero notevole, la Golino stupisce per la freddezza e la decisione con cui dirige la macchina da presa nell'affrontare un tema delicato come l'eutanasia o, come essa stessa ha preferito descriverlo, il suicidio assistito. Notevole e certamente interessante è il modo scelto per raccontare la morte dei malati: essa non è mai mostrata, ma accade di nascosto, in silenzio, lontano dagli occhi dello spettatore. Una scelta che, però, viene a tratti offuscata dalle performance degli attori, non sempre all'altezza della situazione e dell'intensità del contenuto: Jasmine Trinca, unica vera protagonista, alterna momenti d'interpretazione molto intensi ad altri deboli e leggermente forzati, dimostrandosi non perfettamente cosciente dell'intensità richiesta dal suo ruolo. Non aiutano, inoltre, le lunghe pause che il film si concede e i numerosi virtuosismi di cui è impregnato. Impermeabile a questa esagerazione formale è, poi, la trama: scarna, fredda, eccessivamente piatta, una storia che illustra ma non racconta, che preferisce al coinvolgimento la descrizione del contrasto tra le statiche vite dei malati terminali sofferenti e il personaggio di Irene, incostante e sempre in movimento. Ci pensa, fortunatamente, il personaggio di Carlo Cecchi, l'ingegner Grimaldi, con il suo cinismo e la sua fredda disperazione, ad apportare un po' di forza alla storia, ma il rapporto che nasce tra lui e Irene non ha comunque la forza necessaria a smuovere il racconto che è, effettivamente, inconcludente. Il film, e la regista con esso, di fatto non prende una posizione, e pecca forse di eccessivo intellettualismo, rischiando di non arrivare per eccessiva e disincantata freddezza. Nel complesso, "Miele" resta però un esordio alla regia promettente ma con notevoli debolezze di contenuto, che speriamo vengano colmate in un futuro prossimo. (La recensione del film "Miele" è di David Di Benedetti)
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