di S. Faccin
[
Marilyn ha gli occhi neri recensione] - Una rivoluzione in cucina: ovvero, è plausibile leggere Marilyn ha gli occhi neri usando l'arte culinaria come un avamposto per penetrare dentro la psiche umana?
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. O almeno di quanti andranno a vedere la pellicola di Godano. Sì, perché quello che accade al Monroe (il locale inventato a tavolino da Clara e gestito assieme a Diego, lo chef, e a Gina, Susanna, Sosia e Chip) è lo specchio della follia che accomuna i sei pazienti impegnati quotidianamente nella terapia di gruppo presso un centro diurno, ciascuno portando con sé le proprie fobie e combattendo contro i demoni che attanagliano le loro menti. E se quanto avviene in sala e in cucina nelle serate monotematiche, fra strepiti e scatti d'ira, è all'ordine del giorno, è soltanto un riflesso di ciò che verosimilmente accade in qualsiasi posto di lavoro alla gente normale. D'altro canto ce lo conferma anche il Barone di Trombonok nel rossiniano Viaggio a Reims, che «ognuno al mondo ha un ramo di pazzia».
Ma procediamo con ordine. La storia, narrata con una certa levità da Godano e dalla sceneggiatrice Giulia Steigerwart, racconta di un gruppo di disadattati (quelli che definiremmo invisibili perché esclusi dalla vita sociale) ciascuno a modo suo dotato di una genialità creativa espressa in forme diverse, che dopo un periodo di rodaggio si trova a convivere e a condividere un'esperienza lavorativa (la creazione e la gestione del Monroe, appunto) che a prima vista sembrerebbe produrre risultati positivi, salvo naufragare quando deve a scendere a patti con la realtà esterna, impersonata dall'arrivo della polizia per un controllo di routine.
Marilyn non lascia spazio al melodramma o alle scene strazianti. E bravissimo è Gondano a tenere insieme la compagine degli attori facendo interagire i personaggi come se non stessero davvero recitando ma stessero proiettando sulla scena i loro incubi. All'ingresso alla proiezione ci aspettavamo una pellicola fra le tante, come ci ha ormai abituato da lungo tempo il cinema. Ma la maestria degli interpreti, i protagonisti come i comprimari, e una sceneggiatura impeccabile, hanno compiuto il miracolo.
E chiuderei appuntando solo un piccolo neo, uno solo, che fortunatamente nulla toglie all'intensità e al pathos che per quasi due ore tengono lo spettatore incollato allo schermo: l'happy ending – più o meno improbabile – che vede Diego e Clara uscire di scena abbracciati come due perfetti innamorati. È comprensibile che questo sia il prezzo da pagare alle esigenze produttive, noi però avremmo preferito un finale aperto, un po' come accade nella vita, dove nulla mai, o quasi, va come vorremmo che andasse.
(La recensione del film "
Marilyn ha gli occhi neri" è di
Severino Faccin)
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