La recensione del film Manhunter di Michael Mann

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Trama

MANHUNTER di Michael Mann

Manhunter Recensione
Dovendo indagare su un serial killer (Noonan) soprannominato «Dente di Fata» che fa stragi di famiglie, l'agente Will Graham (Petersen) adotta metodi da Actor's Studio, e cerca di pensare con la testa del mostro. Il gioco è pericoloso, tanto più che chiede la consulenza dello psichiatra cannibale Hannibal Lecter (Cox), che proprio lui è riuscito a catturare.
Idea Centrale
La personalità di un pluriassassino ricostruita grazie alla tenace e sofferta indagine del poliziotto che ne è alla caccia, coinvolto per l'azione e pressochè travolto nella psiche.
Analisi
Tutto è giocato sul senso della visione: Dente di Fata ha bisogno di guardare le sue vittime per lungo tempo prima di ucciderle, e vuole che esse lo guardino; specchi franti e superfici riflettenti sono i segni di una mente distorta e di una personalità molteplice e instabile; fotografie, filmati diventano un motivo ossessivo e, paradossalmente, l’unica donna con cui l’assassino ha una relazione è cieca. La simbologia reiterata permette di leggere tra le righe una riflessione sulla realtà delle cose, della nostra percezione di esse, sul come gli occhi, da sempre metafora della ragione (i lumi appunto), a volte possano essere uno strumento perverso e distorto della follia umana. Mann con questo film dà una risposta affermativa alla domanda sempre più frequente se possa esistere l’autorialità nei film commerciali. (Margherita Pasquini)
Note e curiosità
Fondamentali la fotografia iperrealista di Dante Spinotti e le musiche scelte da Michel Rubini (tra cui la mitica In a gadddda vida degli Iron Butterfly).


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