MANHUNTER di Michael Mann
di Dario Bevilacqua
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
Il detective Will Graham (Petersen, non brilla particolarmente per espressività ma il viso e lo sguardo sono quelli giusti, e il ruolo di detective tagliente e determinato gli si addice alla perfezione), ritiratosi dopo aver catturato il serial killer Hannibal Lector (Cox, adatto al personaggio, cui conferisce un'aria malsana e melliflua, ma in futuro sarà adeguatamente rimpiazzato da Anthony Hopkins), viene richiamato in servizio per catturare un nuovo assassino (Noonan, perfetto, uno dei migliori «cattivi» della storia del cinema: lugubre e pericoloso, internamente fragile ed esternamente terrorizzante) che uccide con la luna piena e viene soprannominato "dente di fata". Comincia così una frenetica caccia all'uomo. Il male non è mai da una parte sola ma attraversa gli uomini dividendoli in due, scindendo diabolicamente (anche in senso letterale, dato che il prefisso di origine greca "dia" significa "attraverso" ed evoca sovente una relazione o una spartizione duale) le due metà per poi unirle di nuovo e fonderle insieme. Mann dà vita ad un thriller mozzafiato che tiene in sospeso sino ad un finale tesissimo e tonitruante e, con il consueto stile asciutto e suggestive sfumature da film noir, affronta la tematica della dicotomia dialettica tra bene e male in perenne lotta tra loro. Lo scontro si verifica sia all'esterno, con la caccia tra Graham e Dollarhyde, sia dentro le menti dei due protagonisti, giacché Dollarhyde ritrova il suo lato «buono» grazie all'amore e alla fiducia di una ragazza cieca e Graham recupera il suo lato «cattivo» immedesimandosi nell'assassino e dialogando con il temibile Hannibal Lector. Ma dove nascono bene e male? La sete di potere e di essere amato spingono "dente di fata" ad uccidere (atto che – come viene rivelato nel film – rende simili a Dio, che lo fa continuamente), ma è proprio l'accettazione e l'affetto sincero di un altro essere umano a placare quell'appetito. La necessità di fare del bene costringe invece Graham a risvegliare il male che è dentro di lui, per poterlo capire e infine combattere. Al di là dei conflitti e delle filosofie, "Manhunter" è un thriller raffinatissimo: per la sua musica virtuosistica e inquietante; per una fotografia nitida che predilige la purezza dei colori freddi, dando risalto alle rare, intense ed esplosive cromatiche calde; e per una pervasiva e avvolgente atmosfera tenebrosa. Adattato da un romanzo di Thomas Harris, "Manhunter" precede – cronologicamente e narrativamente – "Il silenzio degli Innocenti" (cui seguirà un remake non all'altezza: "Red dragon") ed è un capostipite indiscusso del serial-thriller. Ciò lo rende un capolavoro. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.