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Lucy recensione] - L'essere umano usa solo il 10% delle proprie capacità cerebrali. Lucy, nome che rievoca il primo ominide sulla Terra, grazie a dosi massicce di una potente droga sintetica entrata per sbaglio in circolo nel suo organismo, riesce ad usare anche il restante 90%. Come già Bradley Cooper in Limitless e come Kenshiro della divina scuola di Hokuto (in Kenshiro il rapporto non era 30/70?). E siccome si sa che il potere della mente è illimitato, Lucy, ora, può tutto, anche tingersi i capelli senza andare dal parrucchiere, zittire un cagnone con lo sguardo o chiamare Morgan Freeman senza comporre il numero telefonico. Cose così. Tocca tematiche affini al recente Transcendence l'ultimo lavoro di Luc Besson, Lucy appunto, prediligendo di più la parte action a discapito dell'intreccio ed esagerando allo stesso modo sul versante del cyberpunk, soprattutto nel finale quando si assiste perplessi all'escalation di poteri che Lucy va via via acquisendo. Perchè potere tutto è come potere niente. Parlare dell'imponderabile è come parlare del sesso degli angeli. Con l'aggravante che a Besson la riflessione filosofica / esistenziale pare interessare il giusto: cyberpunk un tanto al kilo e new age da bar conditi da spezzoni filmati del National Geographic degni del peggior Malick. Morgan Freeman sale in cattedra, spara quattro cavolate del tutto infondate quale frutto di trent'anni di studi scientifici e sembra partorire una puntata di Super Quark con Piero Angela: ci sono anche i dinosauri ricostruiti al computer e la nascita dell'universo sempre ricreata al computer. Quello che preme a Besson in realtà, anni dopo Nikita e Leon, dopo discutibili divagazioni bambinesche nel regno dei Minimei, dopo anni passati a scrivere con la mano sinistra e a produrre prodotti grossolani, dopo sperimentazioni come Angela e impegnati biopic come The Lady, è ancora l'azione, qui nella sua variante fantascientifica, come già nel Quinto elemento, contaminazione che gli permette di giocare con gli effetti speciali tra cui far muovere una delle tante eroine che l'hanno reso celebre, Scarlett Johansson in rotta di collisione contro una banda di brutti ceffi taiwanesi capitanati dal terribile Min-sik Choi, che i più ricorderanno come eccezionale protagonista di Ebbro di donne e di pittura, Old Boy e Lady Vendetta. Insomma Besson è sempre il tamarro che conoscevamo a cui piace girare le sparatorie con il tipo che entra sparando a ventaglio con due mitra, a cui piacciono i ralenty, che cita se stesso (pugnali nelle mani vi dicono niente?), che esagera nell'accumulo pletorico di registri e simbolismi (il montaggio metaforico con il ghepardo che insegue la gazzella poteva risparmiarselo), che riprende il manifesto gigante di Cose nostre, Malavita (non proprio un capolavoro) in mezzo a Time Square. Ma che sa girare anche un inseguimento in auto superbo e un incipit serratissimo. Peccato che come dicevamo la riflessione, trattata con incauta faciloneria, latita e il fine resta marginale. Per cui ne facciamo una noi di riflessione rilevando come da più parti, dal già citato Transcendence a Her a questo Lucy, il cinema sempre più spesso si interroga sul rapporto stretto tra uomo e macchina giungendo ad una conclusione simile e allo stesso tempo avvilente, ovvero che l'intelligenza umana portata alle estreme conseguenze diventa un processore elettronico dalle capacità di calcolo infinite. Ma siamo davvero sicuri, ci chiediamo noi, che il cervello non c'entri proprio niente con sensibilità, amore e sentimenti? Non è avvilente pensare che l'uomo al suo massimo grado non sia altro che un potentissimo elaboratore elettronico? E non è ancora più avvilente che non si riesca ad immaginare qualcosa di più elevato che una chiavetta usb, capiente ma pur sempre chiavetta usb?
(La recensione del film "
Lucy" è di
Mirko Nottoli)
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