di D. Di Benedetti
[
Lo chiamavano Jeeg Robot recensione] - Quando Enzo Ciccotti (Claudio Santamaria) si nasconde nel Tevere per sfuggire alla polizia, cade involontariamente in un barile di rifiuti tossici nascosti sotto un peschereccio. Il giorno seguente, dopo una notte di agonia, scopre di avere una forza e una resistenza fisica fuori dal comune. Decide allora di usare i suoi superpoteri per diventare un ladro come si deve, derubando prima un bancomat, poi un furgone portavalori, e scontrandosi così con gli interessi del capo della malavita di Tor Bella Monaca, Lo Zingaro (Luca Marinetti).
La periferia della grande città, i suoi palazzi grigi e i suoi abitanti quasi presi in prestito dai migliori romanzi noir tornano protagonisti in sala con l'esordio sul grande schermo di Gabriele Mainetti, classe '76, vincitore del Nastro D'Argento nel 2013 per il miglior cortometraggio ("Tiger Boy"). A voler essere sintetici, "Lo chiamavano Jeeg Robot" è un incontro tra "Gomorra" e "Spider-Man" (letteralmente, visto che uno dei personaggi del film, seppur secondario, è interpretato da Salvatore Esposito, il "Genny" della serie campione d'ascolti prodotta da Sky e basata sul romanzo di Roberto Saviano). A dare il volto allo "Spider-Man di Tor Bella Monaca" ci pensa Claudio Santamaria, perfetto nel ruolo di un ladruncolo nullafacente, sbadato e sbandato, con un'insana passione per il porno e il budino in scatola.
Il film di Mainetti, oltre ad essere un divertente e riuscitissimo esperimento tutto italiano (certo ben diverso da "Il ragazzo invisibile" di Gabriele Salvatores) e un omaggio alla serie animata giapponese che ha accompagnato l'infanzia di molti, dipinge un quadro ironico della Roma di oggi giocando con i luoghi comuni tipici della Capitale e sfruttando personaggi strampalati che sembrano presi in prestito da uno dei migliori fumetti (primo fra tutti lo Zingaro, interpretato da un Luca Marinelli in stato di grazia che quasi offusca, inevitabilmente, il protagonista Santamaria). E non dimentica di tralasciare, come un "cinecomic" che si rispetti, anche i buoni sentimenti, chiudendo con un finale aperto che potrebbe far presagire un sequel ma che in realtà eleva il film a riflessione (piuttosto amara) sulla necessità di un intervento (quello sì, davvero sovrumano) che riesca a strappare l'Italia dalle mani di quella criminalità e quella decadenza morale che sempre più spazio ottengono nei luoghi in cui il loro libero accesso dovrebbe essere decisamente precluso.
(La recensione del film "
Lo chiamavano Jeeg Robot" è di
David Di Benedetti)
- Vai all'
archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "
Lo chiamavano Jeeg Robot":