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Life Itself recensione] - Ai più, il nome di Roger Ebert non dirà niente. I cinefili più attenti invece è probabile che drizzino le antenne. Roger Ebert infatti è uno critici cinematografici più famosi degli Stati Uniti, recentemente scomparso, vincitore, tra le altre cose, del premio Pulitzer. Per cui ad un documentario su uno come Roger Ebert cosa si richiederebbe? Amore per il cinema, innanzitutto, poi amore per la scrittura e amore per la critica. Ci si aspetterebbe che questi elementi pulsassero al centro della narrazione, conditio sine qua non per ogni ragionamento che da lì dovrebbe partire. Ci si aspetterebbe anche di trovarvi una sua idea di cinema parallelamente ad una sua idea di critica cinematografica perchè è questo che ha reso Roger Ebert diverso da qualsiasi altro giornalista . Il resto della sua vita è senza dubbio interessante ma al netto del suo talento, del suo mestiere, delle sue capacità, è interessante quanto la vita di ciascuno di noi. Roger Ebert è Roger Ebert perchè scriveva e parlava di film. Il resto, ci può stare, certo, ma deve ruotare intorno alla sua essenza, non sostituircisi. Come la pittura per Picasso, la musica per Jimi Hendrix, la scienza per Stephen Hawking. Discorso analogo infatti si potrebbe fare per l'ultimo biopic sull'autore di Dal big bang ai buchi neri: per l'ansia di farne un ritratto a tutto tondo si finisce per lasciare ai margini le specificità che l'hanno reso unico per dilungarsi in maniera eccessiva sulle traversie della vita al punto da diventare un racconto qualsiasi su una persona disgraziatamente colpita dalla SLA. Così Life itself, il documentario di Steve James tratto dall'autobiografia omonima di Ebert, indugia inizialmente sull'aneddotica giovanile un po' fine a se stessa, fatta di bevute e serate goliardiche tra amici, nel tentativo di creare il mito, passa i successivi tre quarti dell'intera durata a descrivere la rivalità poi trasformatasi in stima e amicizia reciproca tra Ebert e Gene Siskel, i quali condussero per oltre vent'anni un TV Show in cui dibattevano di cinema, per soffermarsi infine in maniera tanto cruda quanto discutibile sulla terribile malattia che condusse Ebert alla morte, non avendo pudore nemmeno davanti ad un corpo devastato e martoriato, reso inabile da un male indecoroso e ignobile. Ebbene, ci chiediamo: si può dire che un male è indecoroso e ignobile senza venire tacciati di essere indecorosi e ignobili a nostra volta? Che mostrare Ebert al centro di riabilitazione o su un letto di ospedale mentre gli infilano una sonda in gola è una violenza per lui e per noi? E che, cosa ben più importante, non aggiunge niente alla sua figura di intellettuale popolare, anti-intellettualistico, sagace e appassionato? Che vederlo infermo, sfigurato, deformato, non ce lo fa ammirare di più, o provare più compassione per la sua perdita, o apprezzare di più o di meno il suo stile di scrittura? Che alla rievocazione del funerale di Siskel, tra lacrime e singhiozzi di amici e parenti, avremmo preferito di gran lunga capire cosa ricercava in un film, cosa lo emozionava, in cosa consisteva per lui la magia della settimana arte, da un film come Life itself avremmo voluto assistere ad una lezione di giornalismo che ci rendesse edotti intorno a quale dichiarazione di poetica può portare ad amare parimenti Russ Meyer e Werner Herzog, Martin Scorsese e Errol Morris. Perchè, al di là delle tragedie umane, è questo che hanno lasciato in eredità al mondo.
(La recensione del film "
Life Itself" è di
Mirko Nottoli)
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