di E. Torsiello
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Legend recensione] - Siamo abituati a concepire i film gangster come trasposizioni prettamente cinematografiche di un mondo americano losco, abitato da uomini eleganti e affascinanti e da femmes fatales seducenti e scaltre, che spesso ci dimentichiamo che vi è stato un tempo, nella Swinging London degli anni sessanta, in cui il potere di due gemelli cominciava a porre le basi di un nuovo impero nell'East End londinese. È l'impero dei Kray. Tutti a Londra hanno ancora oggi qualcosa da raccontare sulle imprese, vere o inventate non ha importanza, di Reginald e Ronald Kray; i loro nomi e la loro ascesa è conosciuta tanto quanto le canzoni dei Beatles. Braccati oltre che dalla polizia, anche dalle riviste scandalistiche, i fratelli Kray divennero col tempo delle vere e proprie celebrità; parte di un Pantheon folkloristico dai toni tetri che si affaccia sul lato più nascosto e criminale di una città che negli anni sessanta brillava di sfavillanti colori, quello dei Kray fu un dominio che pose su Londra un manto di cupa illegalità. Reginald e Ronald Kray non sono considerati eroi; le loro gesta non vengono decantate in maniera filologica e fedele. No, quello che hanno fatto e ciò che erano è divenuto col tempo parte di una conoscenza popolare a cui tutto possono accedere e manipolare a proprio piacimento. È un mondo dove realtà e finzione si mescolano divenendo mito. Un mondo dove i Kray sono diventati leggende.
Non a caso il titolo del film che racconta proprio ascesa e discesa dell'impero dei gemelli Kray è per l'appunto Legend. Un impero, quello mostratoci qui dal regista Brian Helgeland che sembrava non conoscere fine, se non fosse stato per l'intromissione di una donna, Frances Shea, la futura moglie di Reggie. Reggie è sempre stata la parte più equilibrata del duo, quella che portava avanti gli affari con furbizia e tenacia, mentre Ronnie era la controparte più debole, impulsiva, affetta da un'alienazione dalla realtà fomentata da un'instabilità mentale. Ma si sa, è bene non mescolare mai lavoro e sentimenti. Così quando Frances si suicida facendo di Reggie un uomo a pezzi, il fantasma del gangster che fu, il suo tracollo emotivo finì per riflettersi in quello dei loro affari. Nel 1968 i gemelli Kray furono arrestati, il loro impero crollò, mentre la loro fama raggiunse l'apice e il loro nome sinonimo di leggenda
A interpretare il ruolo di entrambi i gemelli vi è un incredibile Tom Hardy. Ancora una volta l'attore inglese domina la scena, riuscendo contemporaneamente a donare psicologia e carattere non a uno, ma a ben due personaggi. Hardy non si limita infatti a dare corpo e anima a uno dei gemelli e a prestare il volto all'altro come fatto da Armie Hammer in The Social Network. No, questo non sarebbe da un attore come Tom. Come Idra che colpito da Ercole moltiplica le proprie teste, così l'unicità di Hardy, tagliata dal foglio del copione, si duplica in due identità del tutto differenti l'una dall'altra, ognuna dotata del proprio modo di pensare, di agire, di muoversi. Perché se Tom Hardy è uno, i Kray erano due personalità diametralmente opposte. Buffo, assetato di sangue Ron; ragionevole, scaltro e paradossalmente gentile Reggie. Chiunque può indossare delle protesi al naso, un apparecchio ai denti e, modificando il proprio aspetto, pretendere di interpretare Ron Kray. Ma in quel caso si cadrebbe nella più semplice imitazione. Hardy scava invece più a fondo nella personalità dei due protagonisti; cammina in maniera differente, il suo modo di porsi non è omogeneo, parla perfino con due cadenze ben diverse in base a quale dei due gemelli sta interpretando. Un tratto somatico così unico per noi come lo sguardo, per Hardy diventa materiale malleabile, da manipolare e far suo, scindendolo in due: torvo, costantemente sospettoso per Ron; da star del cinema americano, disteso ma allo stesso tempo minaccioso per Reggie. A opporsi ad Hardy vi è la bella e brava Emily Browning, capace anche lei di incarnare in maniera perfetta e convincente la fragile e dolce Frances. Quello di Frances è un personaggio che sulla scena parla essenzialmente con gli occhi; sono gli occhi, riflesso della sua tormentata anima, il metro di misura con cui stabilire il grado di pendenza che il cammino dei Kray sta per imboccare. E gli occhi di Emily parlano, recitano insieme a lei. Lontana dal campo visivo, al di fuori delle inquadrature Frances comunicherà con il pubblico a parole. Il suo personaggio è talmente centrale a livello diegetico da assurgere al ruolo non solo di narratrice, ma di tramite tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Tra quello degli umani e quello delle leggende.
Da un punto di vista più tecnico, la regia di Helgland è totalmente devota alla narrazione. I movimenti di macchina, le inquadrature, tutto è volto a corrispondere visivamente al senso scaturente da ciò che viene detto a parole. Il piano sequenza impiegato durante il primo appuntamento di Reggie e Frances al locale, ad esempio, ci mostra il convivere in Reggie, di questi suoi lati, quello sentimentale e quello più devoto al ruolo di gangster, troppo agli antipodi agli occhi di Frances e il cui contrasto finirà per costituire il fil-rouge tematico del film. Le stesse riprese fortemente angolate o inclinate, dove la macchina da presa inquadra i personaggi quando dal basso, quando dall'alto intensificano il peso delle colpe che piano piano vanno a schiacciare i due protagonisti, anticipando in maniera epifanica la loro caduta. Sono certamente dei colpi da maestro per uno come Helgland che con film del genere si trova del tutto a proprio agio (si pensi a L.A. Confidential). Eppure manca qualcosa. O, forse è meglio dire, si eccede in qualcosa, soprattutto in quella ossessione melensa sul rapporto tra Reggie e Frances che porta il regista a dimenticarsi ogni tanto del Reggie gangster che sotto certi punti di vista poteva essere indagato meglio e in maniera più approfondita. Quella di Helgland è una regia che come abbiamo detto si affida totalmente alla resa narrativa dell'opera, esaltando ancor più la performance attoriale di Tom Hardy. Perché se c'è qualcosa di veramente leggendario in questo film è forse solo lui, Tom Hardy.
(La recensione del film "
Legend" è di
Elisa Torsiello)
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