La recensione del film Le stazioni della fede

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LE STAZIONI DELLA FEDE - RECENSIONE

Le stazioni della fede recensione
Recensione

di Paolo Ottomano
[Le stazioni della fede recensione] - Kreuzweg vuol dire crocevia, via crucis. La traduzione italiana lo sottotitola Le stazioni della fede ma per quanto sia grottesco e involontariamente comico, questa dicitura si addice perfettamente allo spirito del film. E noi ci accordiamo senza esitare un solo momento alle intenzioni narrative del regista, condividiamo la sua visione del mondo che condanna i fondamentalismi religiosi - e non c'è bisogno di bombe e teste mozzate per riconoscere un integralista. La protagonista del film, Maria - naturalmente - lo sa bene: la sua vita è scandita da una serie di tappe che ricalcano fedelmente quelle della passione di Cristo, il suo rapporto con la fede, con la società, la gente. Se già è complesso per una persona adulta intraprendere un percorso - non sapremo mai quanto volontario, certamente poco razionale - di rinunce e mortificazioni, insomma di sofferenza, possiamo immaginare quanto lo sia per una bambina, indottrinata e usata per la becera soddisfazione dell'esercizio di un potere da parte di sua madre e dal prete della chiesa estremista di cui fa parte. Una di quelle ferme ancor prima del Concilio Vaticano II, per la quale bisognerebbe evitare di bere acqua e respirare per dimostrare al Signore quanto è forte il proprio animo e quanto si è disposti a sacrificarsi per lui. Scegliere proprio una bambina, che non può comprendere ancora fino in fondo il valore dei propri gesti, delle proprie scelte, è un'idea felice: Bruggemann ha così l'opportunità di dimostrare la violenza con cui certi dogmi sono inoculati nella testa di creature innocenti, che già dalle fasce vengono istruiti a considerare la vita come un abaco usato da qualcun altro, una mano invisibile che loro possono solo restar ferme a guardare - ma come fanno a vederla, se è invisibile? Maria, che ha un fratellino di quattro anni che non parla, forse autistico, e una madre tiranna e un padre che le è succubo, non sa più dove sbattere la testa, stretta tra i desideri e le pulsioni di una neo-adolescente, le prescrizioni di un prete fanatico e i rimproveri umilianti e costanti proprio della madre, evidentemente frustrata da qualcosa d'insondabile. Non ha scampo, come sottolineato con enfasi dalle inquadrature fisse, una per la durata di ogni sequenza e tappa del crocevia. Affonda sempre più velocemente nelle sabbie mobili della sua credenza, Maria, e ci resterà per sempre dal giorno della sua prima comunione in poi: il primo momento in cui la cinepresa si stacca dal cavalletto e l'accompagna verso la cima del suo Gòlgota. A nulla valgono i segnali impliciti ed evidenti che arrivano da due persone molto vicine a Maria. La prima è il suo compagno di scuola Christian, innamorato di lei, che - in antifrasi col suo nome - riesce a emanciparsi dal delirio di Maria e, forse da vero cristiano, vorrebbe davvero aiutare il suo prossimo. C'è poi Bernadette, la ragazza alla pari della famiglia: anche questo un nome pesante da portare sulle spalle ma che questa volta sarà spettatore di una sparizione, non di un'epifania: una fine miserrima, ignorante, grottesca, che rasenta l'omicidio involontario ma perpetrato a lungo. Non c'è vincitore in questa storia: tutti sono sconfitti dal fanatismo che hanno contribuito ad alimentare, con la propria cocciutaggine o con la propria negligenza, paura. Che emerge in tutto il suo candore di fronte alla scienza. (La recensione del film "Le stazioni della fede" è di Paolo Ottomano)
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