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Le Confessioni recensione] - Germania. Un albergo di lusso è pronto a ospitare un G8 di ministri dell'economia da tutto il mondo, che si preparano a firmare una manovra segreta dalle conseguenze pesantissime per molti Paesi. Sono stati convocati da Daniel Roché (Daniel Auteil), direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi), che alla sua corte ha però voluto anche una scrittrice per bambini, una rock star decaduta e un monaco certosino, Roberto Salus (Toni Servillo). È proprio dallo sguardo spaesato di quest'ultimo personaggio che prende le mosse "Le Confessioni", ultima fatica di Roberto Andò, che torna al cinema tre anni dopo il successo di "Viva la libertà", che aveva sempre Servillo come protagonista. Questa volta, però, qualcosa sembra sfuggire di mano al regista, che firma un film fortemente ambizioso – nei toni, nella fotografia, nella regia – di cui però sembra non riuscire a tenere insieme i pezzi. A cominciare (paradossalmente) dallo stesso attore napoletano: la cui indubbia bravura (e qui ancora una volta confermata) finisce col pesare avrebbe necessitato di un freno in più.
Con qualche vago richiamo a "Todo Modo" di Elio Petri, ma soprattutto con strizzate d'occhio al manierismo a là Sorrentino, l'intera pellicola si basa sul non detto e sul non svelato. L'intreccio prende piede da un colloquio privato avuto da Roché e Salus, dopo il quale nulla sarà più lo stesso. Un evento tragico cala un velo di paura, sospetto e tensione tra i presenti, preoccupati che uno di loro – nel segreto della confessione – possa aver rivelato al monaco un terribile segreto.
Se l'idea di fondo è anche buona e interessante, il problema è che il film in realtà non ha interesse a risolvere l'enigma entro cui viene attirato lo spettatore. Cedendo al fascino del metafisico e dell'impalpabile, Andò (che è anche co-sceneggiatore, insieme ad Angelo Pasquini) costruisce un grande castello di carte che però poggia su molto poco: suggestioni, soprattutto, una certa idea del potere e di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non importa risolvere il mistero, non importa sapere davvero qual è il "segreto" che tanto tormenta gli ospiti dell'albergo (sempre che esista, poi, questo segreto). Importa soprattutto restituire una certa visione del mondo. Accadeva lo stesso in "Viva la libertà", che però era sostenuto (anche) da una storia forte e avvincente, fino alla fine. Qui invece manca proprio la struttura portante: c'è l'idea, certo, ed è buona, senz'altro. Ma senza le fondamenta, resta ben poco. Peccato.
(La recensione del film "
Le Confessioni" è di
Giulia Mazza)
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