Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica

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IERI OGGI E...

LADRI DI BICICLETTE di Vittorio De Sica

Ladri di Biciclette di Vittorio De Sica Recensione

di Veronica Ranocchi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Premio Oscar come miglior film straniero nel 1949, "Ladri di biciclette" è considerato il capolavoro di Vittorio De Sica, affiancato nella sceneggiatura da Cesare Zavattini (con il quale ha collaborato anche per la realizzazione di altre opere). Un importantissimo spaccato di vita quotidiana, nello specifico della Roma del dopoguerra e della situazione che i comuni cittadini vivevano ogni giorno, visto attraverso due personaggi: un padre e un figlio (per i quali De Sica ha assolutamente voluto due attori non professionisti proprio per rappresentare al meglio la verità). Il film, che appartiene alla corrente del neorealismo, mostra il viaggio dell'operaio Antonio Ricci e del figlio Bruno. Il tutto si apre con l'arrivo, nel quartiere Valmelaina, alla periferia di Roma, di un impiegato del comune e più precisamente incaricato dell'ufficio di collocamento che sta portando con sé alcune offerte di lavoro. La macchina da presa, che lo sta seguendo, ci mostra una serie di persone che si affollano intorno a lui nella speranza di una bella notizia. Questo finché una persona, in particolare, non viene isolata. Si tratta proprio di Antonio Ricci che sembra essere la persona adatta a svolgere il lavoro proposto, quello di attaccare i manifesti sui muri delle case. Ma per farlo è necessaria una bicicletta che Antonio non ha. Arriva, allora, in soccorso la moglie che decide di portare al banco dei pegni tutte le lenzuola per poter riscattare la bicicletta del marito precedentemente impegnata. Una volta ottenuto nuovamente l'unico mezzo di trasporto a disposizione, Antonio inizia ad attaccare il primo manifesto, ma proprio in quel momento gli viene rubata la bicicletta. Il giorno successivo, la domenica, verrà interamente dedicata alla ricerca del mezzo da parte dei due protagonisti che, spostandosi da una parte all'altra della città, entreranno in contatto solamente con persone miserabili che vivono in condizioni disperate e lottano ogni giorno per la sopravvivenza. Fino a che non troveranno il vero responsabile, costretto a vivere in una situazione ancora peggiore di quella dei protagonisti. Interessante, non soltanto dal punto di vista narrativo, mostrandoci quella che era la quotidianità dell'epoca, o meglio la realtà, ma anche dal punto di vista tecnico. Per quanto riguarda il primo aspetto bisognerebbe aprire un'ampia parentesi e definire quello che significa "neorealismo". Alcuni, quando si riferiscono a questo termine e a questo particolare tipo di cinema, parlano di una narrazione che affronta problemi sociali di vita vera vissuta principalmente da persone povere, altri, invece, sottolineano maggiormente l'aspetto delle riprese in esterni reali e l'utilizzo di attori non professionisti. Per questo specifico caso, l'ultima parte è preponderante rispetto alle altre. I due attori scelti come protagonisti sono due persone comuni che non erano mai stati attori professionisti e che, oltre a ciò, si muovono in uno spazio più che reale. Sembra proprio che la macchina da presa li segua nella loro vita di tutti i giorni, non in quanto personaggi della storia narrata, ma in quanto un padre e un figlio alla disperata ricerca della loro bicicletta per poter lavorare e guadagnare qualcosa. Ma anche dal punto di vista tecnico il film è di notevole spessore e lo si potrebbe analizzare nei minimi particolari fin dall'inizio. Abbiamo parlato precedentemente della macchina da presa che all'inizio si aggira intorno alla folla che si accalca nella speranza di trovare un lavoro, ma che poi si isola, e isola a sua volta, il protagonista, come fosse un caso. Un altro momento interessante che coinvolge il movimento della macchina da presa è, poi, il lungo carrello sul deposito di lenzuola consegnato al monte dei pegni da tutti quei cittadini che, privi di una grande somma di denaro, devono arrangiarsi come possono per poter sopravvivere e impegnano i propri averi. Quello che ci vuole mostrare (e, in parte, anche insegnare) il film non è tanto la vita di Antonio e Bruno, ma piuttosto il viaggio simbolico che i due compiono (e con loro anche lo spettatore) tra le strade di Roma. Il ruolo della bicicletta, al di là della funzione reale che deve svolgere per il lavoro di Antonio, è la protagonista indiscussa della vicenda perché rappresenta la metafora della vita dei due personaggi che è stata loro, in qualche modo, sottratta. E' stato rivelato che Zavattini avrebbe fatto durare il film ancora a lungo, concentrando il tutto in una spasmodica ricerca della bicicletta, ma De Sica ha sentito la necessità di porre, in un certo senso, un freno alla storia che comunque non perde mai di intensità e, anche nel momento in cui termina, lo spettatore si rende conto che non è veramente finita. Significativo, a tal proposito, il primo piano su Bruno che, dopo aver vissuto una giornata più che intensa, essere entrato in contatto con persone e realtà disperate, vede suo padre tentare di compiere un gesto non da lui e si dispera vedendolo umiliato. In realtà il giovanissimo figlio di Antonio è adesso cresciuto, diventando un uomo a tutti gli effetti. Diversi gli errori di montaggio che spostano l'attenzione dalla città alla campana senza continuità o le imprecisioni, come quella della fuga del ladro, ma che sono significativi di una povertà del cinema stesso più che dei personaggi. Le storie mostrate da questo "tipo" di cinema sono vere e povere, ma comunque ricche di un'umanità che non era presente, o comunque non così evidente, in passato. Lo scopo principale non è quello di mostrare una specifica realtà o quotidianità, ma di scoprire un intero mondo, che sta sprofondando, insieme ai personaggi che ci accompagnano e che, in questo specifico caso, sono simbolo e metafora della sofferenza umana. Lo spettatore dell'epoca non era poi così diverso e distante da Antonio e Bruno. E il fatto che Bruno prenda la mano del padre per consolarlo e accompagnarlo nella scena finale è una strizzata d'occhio al pubblico che è stato accompagnato fino a quel momento e continuerà ad esserlo anche nella realtà al di fuori del capolavoro che ha appena visto sullo schermo. Lo era IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.


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