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Lacci recensione] - Lacci di Daniele Luchetti è il film d'apertura fuori concorso della 77a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
Sono le parole dell'omonimo romanzo di Domenico Starnone, da cui è tratto il film, quelle rese sullo schermo immagini corpose, nella fotografia di Ivan Casalgrandi e nella nuova regia di Luchetti (Momenti di trascurabile felicità, 2019). In Lacci si racconta un presente attraversato da un passato che ha leso in modo definitivo l'anima dei protagonisti. Anni Ottanta, Napoli. Una famiglia piccolo borghese, Vanda (la bravissima Alba Rohrwacher), Aldo (Luigi Lo Cascio), e due figli, Anna e Sandro: una festa in maschera, dove il trucco nasconde, visibilmente, da subito, un certo disagio nella coppia. Giunti a casa, Aldo, spavaldo e sicuro si sé, dopo aver messo a letto i figli usando il suo carisma di narratore (dal tono principesco, dice alla figlia) confessa a Vanda la sua relazione con una altra donna. Il dramma famigliare ha inizio: lei, sconvolta lo caccia di casa e abbandonata a una disperazione solitaria arriva a gettarsi dalla finestra.
Sandro, invece, conquista, sempre di più, il suo pubblico, con la sua voce in diretta radiofonica dalla Rai di Roma, dove lavora. Legge e commenta autori di grande spessore come Fitzgerald e libri autorevoli come il Malacqua: quattro giorni di pioggia nella città di Napoli in attesa che si verifichi un accadimento straordinario (N. Pugliese).
Le parole, fuori campo, raccontano i sentimenti contradditori e contrastanti di un marito che vuole esprimere se stesso fino in fondo senza lasciarsi ingabbiare da un matrimonio mentre la giovane moglie cerca di persuaderlo appellandosi al diritto dei figli ad avere un padre e una madre. Un dramma, quello del film e del romanzo stesso (sceneggiatura firmata da Luchetti, Francesco Piccolo e dallo stesso Starnone), che racconta i tempi odierni segnati dalla memoria degli anni Ottanta, tempo in cui il divorzio faceva capolino nelle famiglie tradizionali e sconvolgeva ogni suo componente. Tradimento è il leit motiv di Aldo quando al microfono della radio, confessa essere il motore necessario per amare. Lealtà è la parola cara a Vanda: lealtà alla promessa fatta di vivere insieme e crescere i figli. La tensione cresce a dismisura nel silenzio delle parole che Luchetti che non fa ascoltare (nella cura del fonico Carlo Missidenti): un silenzio che resta dietro il vetro dello studio radiofonico o in strada, quando i due coniugi arrivano addirittura alle mani l'una verso l'altro. Il suono delle stesse cresce, invece, nel cuore dei due piccoli figli che "vedono" e assorbono ogni recriminazione, insulto, tristezza della madre e gaudio del padre. Così, in una passaggio temporale, delizioso quanto una carezza sui capelli, e rapida come una matita infilata nel toupet di Vanda da giovane, siamo nel suo oggi, Vanda (una solida e brava Laura Morante) e di Aldo (un prezioso attore, Silvio Orlando). Dall'ordinarietà del passato alla conquista di uno status sociale reso visibile nel lusso della casa nuova. Aldo è tornato, un giorno, senza saperne bene il motivo, perché così si fa, aveva detto Vanda e con un falso perdono lo aveva accettato, perché così si fa. Passano insieme una vita, senza apparenti conflitti ma anche senza pace. Vanda è segnata dalle scelte fatte nel passato che ricadono in attimi di delirio mentre cerca di ricordare il motivo del suo consenso a ricominciare. Sandro invece, riesce ad esplodere in un grido vero e lancinante (come mai si è sentito fare da Silvio Orlando) quando ammette l'errore di aver sopportato la sua vita piuttosto che averla vissuta. È il caos primordiale quello che vivono in una notte, dopo essere tornati da una vacanza e aver trovato la casa vandalizzata da quello che credono un furto. Vanda ripercorre analiticamente i suoi perché, Aldo cerca furiosamente le uniche tracce di una passione conosciuta solo tra le braccia della sensuale Linda, (Lidia Caridi), la sua giovane amante. L'aveva immortalata su una miriade di polaroid, in una nudità esemplare. Poi l'aveva accuratamente nascoste in una scatola e tenute al centro del nuovo grande salotto, al centro ancora dei suoi desideri repressi. Una scatola che nessuno avrebbe potuto aprire, una sorta di rompicapo al modo del Cubo di Rubik. Invece, nessuno sa che la scatola è stata aperta. L'ha fatto Sandro, il figlio (Adriano Giannini). Lo ha fatto prima di diventare l'avvocato che è ora, con figli da mogli diverse sparsi in Italia. Le conseguenze di quella vita lasciata sopravvivere sono sulla pelle dei due figli, oramai adulti. Anna (la presenza possente di Giovanna Mezzogiorno), sola, porta sul volto i tratti di una rabbia ancora accesa, un rancore ancora vivo. Senza comprendersi nell'amarsi, padre e madre hanno generato negli figli confusione e smarrimento. Nessun modello educativo, nessuno affettivo da emulare per quei bambini lasciati crescere nel male dell'omissione. È Anna, infatti a voler incontrare il fratello, ogni volta, nel bar dei Lacci, quei Lacci che avrebbe voluto legassero i genitori invece di imbrigliarli nei loro egoismo. Sono Lacci che avrebbero potuto tenere unite le parti anziché dividerle. Prendi i lacci, fai due occhielli, poi uno dentro l'altro, e stringi: così non lo fa nessuno, aveva detto il padre al piccolo Sandro. Ma sono rimaste stringhe slacciate…scarpe su piedi incerti…che hanno camminato la vita di Anna. Sulla reazione ultima dei figli si chiude il film, a differenza del romanzo che incede con più tempo. Anna mossa da un dolore non sedato, una quiete non realizzata, coinvolge Sandro a compiere il gesto estremo: "rovinare" quell'apparente normalità dei genitori, un atto amletico che dice la necessità di rompere con il passato per poter vivere, forse, un futuro.
Daniele Luchetti ha eluso quasi completamente la distanza tra letteratura e cinema: le parole scritte da Starnone rimangono a volte, fuori campo, senza pesare sul ritmo del film; i luoghi sono raccontati visivamente nelle scenografie appropriate e perfette (Andrea Castorina). Un film maturo in tutto, fino alla maturità conquistata dolorosamente da tutti i protagonisti.
(La recensione del film "
Lacci" è di
Rita Ricucci)
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