di R. Baldassarre
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La tartaruga rossa recensione] - Prima di essere immersi nella profonda metafora di La tartaruga rossa, i nostri sensi, visuali e intellettivi, vengono avvolti dalla bellezza del tratto d'animazione scelto da Michael Dudok de Wit. Uno stile tanto levigato e semplice, quanto potente e complesso. Storditi annualmente – o peggio, quotidianamente – da roboanti produzioni d'animazione certamente fascinose e ricche, ma alquanto chiassose per lo sguardo, il film d'animazione di de Wit è un'oasi di pura e profonda contemplazione. La tortue rouge è il primo lungometraggio di de Wit e ha richiesto ben sei anni di lavoro. Una novella d'animazione con cui l'autore olandese continua a "sperimentare" tecniche stilistiche. In questo caso l'animazione è composta di tecnica mista: tavole disegnate a mano; con il carboncino; con la Cintiq (penna grafica digitale), mentre la tartaruga è stata realizzata in CGI. Un lungometraggio, quindi, che si dimostra anche un compendio stilistico di come si potrebbe realizzare un cartone animato; e di come gli autori bravi sanno gestire e miscelare mirabilmente tali procedimenti. De Wit, che ha una lunga e onorata carriera (ad esempio è stato uno degli animatori di Fantasia 2000), anche nelle precedenti opere ha perseguito questa idea di creare piacevoli – e profonde – novelle, in cui lo stile si adattava, di volta in volta, al tipo di racconto affrontato. Erano quattro cortometraggi, realizzati nell'arco di quattordici anni (1992-2006), che hanno ricevuto sempre ottime critiche. Father and Daughter, realizzato nel 2000, vinse anche l'Oscar come miglior cortometraggio d'animazione, e a distanza di tempo si rivela come un piccolo anticipo di La tartaruga rossa, cioè di come de Wit ama utilizzare una metafora per raccontare la vita. La tortue rouge, infatti, attraverso una raffinata metafora racconta il senso dell'esistenza e la sua ciclicità in stagioni e periodi. Un titolo alternativo ed evocativo poteva essere Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, proprio come la pellicola esistenziale di Kim Ki-duk. Sin dall'inizio ogni elemento naturale, cioè la flora e la fauna, rimanda sempre a un secondo e profondo significato. Il naufrago è l'immagine traslata di un neonato, e il mare impetuoso, che lo scaglia sulla spiaggia, il momento della nascita. Mentre l'isola in cui giunge, rappresenta il luogo dove si svilupperà la sua vita, in cui il naufrago vivrà, crescerà, apprenderà e poi morirà. Quest'ultimo aspetto, cioè la morte, è un fattore molto presente e reiterato, non per "ammantare" di pessimismo la storia, ma per avvalorare la finitezza della vita umana. Un principio che viene trattato spesso con ironia (la mosca gira intorno al pesce morto, per poi finire imprigionata in una ragnatela). La tartaruga rossa, "personaggio" misterioso e centro focale del film, è l'elemento "Ghibli" che entra nella poetica di de Wit. Privo di dialoghi, e senza spiegazioni o morali finali, La tartaruga rossa diviene un meraviglioso esempio di favola d'animazione matura e completa, ma allo stesso riesce a conservare una leggiadria nel racconto.
(La recensione del film "
La tartaruga rossa" è di
Roberto Baldassarre)
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