LA REGOLA DEL GIOCO di Jean Renoir
di Veronica Ranocchi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Probabilmente uno dei migliori film del regista nonché uno dei migliori film di sempre è "La regola
del gioco" di Jean Renoir.
Un intreccio di relazioni, un mix di fiducia e sfiducia tra i vari protagonisti della vicenda. Tutto questo
mescolato insieme dà vita a un film dove i personaggi credono di sapere, ma si trovano a sbagliare.
In un castello si intrecciano delle relazioni tra più personaggi. Fra questi c'è l'aviatore André Jurieux,
che ha traversato l'Atlantico in sole 23 ore. Ad accoglierlo, appena fuori da Parigi, viene accolto
dall'amico Octave e non, come si sarebbe aspettato, da Christine, una nobile austro-francese della
quale è innamorato. Non vedendola e sentendosi in qualche modo tradito dall'assenza della donna,
rilascia una dichiarazione a una delle giornaliste etichettandola come una traditrice. La diretta
interessata sta ascoltando la trasmissione e anche se la vecchia relazione tra lei e l'aviatore è di
dominio pubblico, la donna è adesso sposata con il marchese Chesnay. Questi si ritrova, quindi, a
temere che la moglie possa, in qualche modo, tradirlo perché ha paura dei due spasimanti che ruotano
intorno a lei. Per questo motivo decide di lasciare l'amante e tentare di riconquistare la consorte.
Alle storie dei nobili protagonisti si intrecciano, poi, anche quelle dei domestici che intrecciano tra
loro storie sentimentali che vanno a mescolare la storia.
Un bellissimo bianco e nero che evidenzia ancora di più, soprattutto in alcuni frangenti, le differenze
tra i vari personaggi, tra le classi sociali e tra le varie relazioni che si vengono a creare.
L'abilità più grande, però, di Jean Renoir nella realizzazione di un film del genere sta nell'essere
riuscito a mescolare con una sapienza unica più generi tra loro, o meglio più registri. Spesso nella
stessa scena si passa dal drammatico al comico con una rapidità e un'efficacia incredibile che
nemmeno fanno notare il tutto allo spettatore che si ritrova come spiazzato.
Oltre a questo c'è sicuramente da sottolineare la bravura del regista nello stile di costruzione della
storia. Niente è lasciato al caso, anzi. Tutto è studiato nei minimi particolari e le inquadrature sono
degne dei migliori maestri del cinema. Renoir fa, infatti, ampio uso di lunghi piano sequenze dove
lascia i personaggi e l'azione parlare al suo posto. Per non interferire nella storia, in nessun modo, né
in positivo né in negativo, ma per tentare di lasciare la narrazione il più oggettiva possibile, il regista
si affida alla macchina da presa, quasi come immobilizzandola. Limitarsi a mostrare ciò che avviene
tra i personaggi è sicuramente un punto di forza sia per l'autore che per il film.
Un film corale, strettamente connesso alla realtà dell'epoca perché influenzato dal contesto sociale e
politico, che, appunto, non ha un protagonista, ma pone al centro la vicenda, circondata da otto
eccellenti interpreti. Ognuno di loro cerca di trovare il proprio posto nel mondo. O meglio ognuno
cerca di togliere il posto agli altri ancora prima di trovare il proprio. Per questo le dinamiche diventano
fondamentali, siano esse positive o negative.
E il merito (o demerito) di tutto questo, come ci fa capire bene Renoir, è la borghesia. Perché è proprio
questa classe che tutto può e tutto vuole, ma che non riesce a trovare un confine al resto.
Accanto ai lunghi piano sequenze di cui abbiamo parlato prima vanno citate anche le vedute
particolari, attraverso finestre e movimenti di macchina, che conferiscono una determinata visione e
conformazione rispetto al solito.
Se si unisce questo aspetto alla recitazione degli attori, calati perfettamente nei rispettivi personaggi,
viene fuori una concezione di cinema che si può definire moderna. Un film del 1939 come quello di
Renoir si può, quindi, considerare al pari di tanti titoli successivi. Una visione all'avanguardia che
cerca di guardare oltre, di spiegare la realtà contemporanea e di darne una sorta di definizione.
Altro elemento da tenere presente è lo scenario che avvolge la narrazione. Uno scenario relativamente
chiuso e circoscritto dove ogni elemento, anche di poco, fuori dagli schemi conferisce quel qualcosa
in più e quel qualcosa di diverso rispetto al resto.
Emblematica a tal proposito la scena della caccia, con rumori "imponenti" che sovrastano tutto il
resto e relegano in secondo piano la narrazione, i personaggi, i dialoghi e i rapporti interpersonali. I
paesaggi estesi e i continui spari fanno da cornice e quasi da punto e momento di svolta in una storia
ingarbugliata a tal punto che c'è bisogno di uno scossone per smuoverla del tutto.
Ma perché "La regola del gioco"? Qual è questa regola? E quale questo gioco?
Le regole non scritte dell'alta società (e non solo) impongono determinati comportamenti e
determinati atteggiamenti da parte di tutti. Le stesse regole, però, che i protagonisti si impongono di
seguire obbligando chiunque a farlo sono anche le stesse che vengono, poi, frantumate. A poco a poco
viene meno la rigidità di tutti gli standard che la società vuole e deve seguire a tutti i costi.
Attraverso queste regole trapela quello che è lo sguardo di Renoir, immerso nel mondo dei suoi
personaggi, in modo tale da descriverli al meglio, nella loro essenza più intima e vera.
Ed ecco che si torna alla distinzione e alla commistione, al tempo stesso, di commedia e tragedia. La
prima, alla fine dei fatti, è solo una dissimulazione da parte della borghesia che utilizza per
mascherarsi di fronte ad una realtà ormai sempre più inquietante. Facendo ricorso alla commedia
viene mostrata, paradossalmente, la tragicità del mondo. Non a caso, infatti, è la tragedia la vera
protagonista, il genere che prevale in tutta la totalità della storia. Una tragedia e una tragicità
continuamente sottolineata, grazie a tantissimi dettagli ed elementi.
Tornando, infine, sui personaggi c'è una nota da segnalare. Si tratta della presenza dello stesso Renoir
all'interno del cast. Il regista non si limita, infatti, solamente a dirigere la pellicola, ma ne entra a far
parte in quanto personaggio, indossando i panni di Octave, una figura che a conti fatti assume
un'importanza non da poco. Dà, infatti, il suo personale apporto alla storia in generale grazie anche
alla sua fisicità che offre una versione "contrapposta" a quella degli altri personaggi.
Da alcuni considerato il miglior film di Renoir, da altri lo spartiacque della sua filmografia, "La regola
del gioco" resta comunque un film da vedere e non perdere, con tutto quello che si porta dietro e con
tutto quello che cerca di raccontare di una realtà, per certi versi, non troppo lontano. Insomma un
caposaldo del cinema. Lo era IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.