di R. Gaudiano
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La ragazza d'autunno recensione] - Leningrado 1945, l'assedio, uno dei peggiori della storia, è appena finito. Le macerie della guerra sono la testimonianza di distruzione materiale e morale. La città deve affrontare non solo la ricostruzione di edifici ma anche il recupero della condizione morale di tutte le persone coinvolte fisicamente e mentalmente nel lungo conflitto. Secondo lavoro cinematografico del giovanissimo regista russo Kantemir Bagalov (allievo di Sokurov alla scuola di cinema creata presso l'Università di Nalchik), che ha già stupito la critica con il suo primo "Tesnota", "La ragazza d'autunno", premiato a Cannes come miglior film nella sezione "Un certain regard" è la storia struggente dell'amicizia tra Iya (Viktoria Miroshinichenko) e Masha (Vasilisa Perelygina), due donne sui cui volti il regista imprime la maschera del dolore della morte, nonché la gratitudine per il dono ricevuto della vita. Iya ha il compito di tutelare la vita di Sasha, un bambino di quattro anni figlio di Masha, che la stessa le ha affidato mentre era in guerra. Iya, l'infermiera "della morte", soffre di una strana sindrome da stress che la paralizza e la estranea dal resto del mondo. Sasha sarà la vittima sacrificale di uno di questi momenti out dell'infermiera spilungona, che se lo troverà esanime tra le braccia. Il ritorno di Masha metterà le due donne difronte ad una cruda resa dei conti. Lungo il doloroso confronto, le due giovani capiranno che il rovinoso vissuto di una guerra devastante va elaborato e lasciato alle spalle, per affrontare il presente in uno sforzo che travalichi l'odio e la morte, per costruire finalmente un bene comune. L'anelare la maternità come possibile cura, rende le due donne protagoniste delle brutture di una lunga ed assurda guerra, mettendo in primo piano l'importanza del ruolo della donna, in una società che deve ri-costruirsi sulle macerie di una guerra aberrante. Bagalov anche qui non smentisce la sua capacità di regista elegante e di indiscusso talento artistico. "La ragazza d'autunno" pregnante di contenuti edificanti, apre ad uno scenario di forza umana condivisa, unica strategia possibile per superare il dramma storico di un dopoguerra che porge un conto altissimo per ogni possibile recupero, sia materiale che morale. Il cinema del regista russo è un cinema introspettivo. I personaggi sono menomati dalle ferite psicologiche inferte dal conflitto e lo sforzo che devono compiere per ritornare alle normali consuetudini richiederà tempo e tenacia soprattutto da parte delle donne, soggetti chiave e molto partecipativi. La sinergia dei simboli visivi, metafore potenti, usati da Bagalov, come i colori verde e ocra che pervadono costumi e decorazioni d'interni, pennellate su scenografie sensazionali ed intime, creano un'opera intricata e sapientemente poetica. Il giovane regista russo afferma anche qui la sorprendente autonomia del suo sguardo nella rappresentazione naturale dei primi piani. Senza dubbio "La ragazza d'autunno", storia originale ispirata al libro di Svetlana Alexievich, "La guerra non ha un volto di donna", nella sua messa in scena di tragedia personale, presenta nuove ed interessanti formule della narrazione, come cinema d'immagini che arriva a rappresentare il dramma di crudeltà subite, mentre il sopravvivere alla vita stessa acquista un valore di recupero per il futuro. L'opera, oltre al premio insignito a Cannes, è candidato agli European film Awards e selezionato quale miglior film per rappresentare la Russia agli Oscar 2020, con ottimi requisiti da giocare a suo favore.
(La recensione del film "
La ragazza d'autunno" è di
Rosalinda Gaudiano)
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