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La quinta stagione recensione] - E poi, ogni tanto, arrivano. Quei film che esulano dal prevedibile, che disertano l'orizzonte d'attesa con una drasticità spiazzante. La quinta stagione, terzo lavoro dei registi belgi Jessica Hope Woodworth e Peter Brosens, ideale completamento di una trilogia iniziata con Khadak e Altiplano, è una di queste creature anomale: un'opera di ricerca che scava sul versante visivo e su quello emotivo allo stesso tempo, tracciando i passanti di un cinema diverso, audace, cerebralmente iconografico. In un remoto paesino delle Ardenne, summa di tutti i topoi paesaggistici descritti dai cantori della no man's land, da Elliot a Camus a Lars Von Trier, una comunità ferma allo stadio rurale si appresta a celebrare il rito propiziatorio che traghetta l'inverno nella bella stagione. Ma il fuoco sacro che inaugura i fasti della primavera non vuole saperne di accendersi: è solo l'incipit della catastrofe. Mentre il gelo e l'aridità si impossessano della natura, prosciugandone le forze, l'umanità interdetta subisce le leggi fisiche della nuova condizione, sviluppando istinti reattivi e conservativi conditi di spietata violenza: la cattività imposta dalla natura nemica scoperchia un vaso di Pandora fitto di egoismi e di scaltrezze disperate, disegnando un primo piano dell'uomo coatto lontano anni luce dal mito roussoniano del buon selvaggio. In un limbo cupo e spoglio, che la fotografia lapidaria di Hans Bruck Jr. inquadra in tutta la sua desolazione, due adolescenti, Alice e Thomas, si oppongono al disfacimento dei rapporti umani con un'ode estrema al sentimento e alla passione. Ma la slavina dell'abbrutimento sociale minaccia di travolgerli. Freddo, concettuale, denso di simbolismi e volutamente anti-narrativo, La quinta stagione (come da titolo) è una riflessione completiva sull'essere umano: il film di Woodworth e Brosens non mira a decostruire le tracce dell'uomo così come lo conosciamo; bensì intende arricchire quel ritratto, troppo spesso edulcorato da un cinema benevolo, aggiungendo alle stagioni dell'anima già largamente esplorate una nuova e impietosa condizione, dettata dal bisogno e dalla fame. Da guardare senza pretese romanzesche, dimenticando le leggi proppiane delle lotte positive tra personaggi tese al finale catartico, il film, premio "Arca Giovani" a Venezia 2012, è un puzzle di immagini sgranate e silenziose che la lentezza del montaggio rende a tratti difficile da digerire. Tuttavia, nonostante il ritmo soporifero e la disintegrazione degli schemi narrativi, La quinta stagione riesce ad avvincere per la forza delle sue verità, per l'onestà con cui precipita l'elemento uomo nel buco nero delle sue stesse perversioni. Se si tollera il passo letargico e la negatività senza appello, è un film da vedere.
(La recensione del film "
La quinta stagione" è di
Elisa Lorenzini)
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