La palla n. 13 di Buster Keaton

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IERI OGGI E...

LA PALLA N. 13 di Buster Keaton

La palla n. 13 Recensione

di Nicole Jallin
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
"La fabbrica dei sogni". Ancora oggi questa resta la definizione istintiva che si dà il cinema. Perché il cinema è e resta l'unica "macchina" in grado di costruire un mondo immaginario irreale in cui tutto può accadere. E lo spettatore non deve fare altro che accomodarsi in sala, immergersi con lo sguardo nello schermo e lasciare là fuori la realtà. Solo il cinema è capace di trasformare in immagini viventi qualsiasi cosa, reale e non. Persino sé stesso. Ed è proprio in questo caso che l'espressività e la comunicatività della settima arte arriva a coinvolgere totalmente lo spettatore, inglobandolo all'interno di sé, all'interno del suo mondo (ir)reale, rendendosi al tempo stesso "visibile" ai suoi occhi. Il cinema dunque non si limita a mostrarsi sullo schermo, ma, attraverso un linguaggio meta-cinematografico, svela la sua struttura enunciativa rivelando un valore di più profondo dell'essere semplice strumento d'intrattenimento delle masse. Numerose riflessioni si sono susseguite nel corso degli anni su questo tema. Riflessioni che spaziano dalla sfera sociale a quella culturale, da quella semiotica a quella stilistica ed estetica. Ma l'autoreferenzialità permette di indagare il cinema innanzitutto in quanto dispositivo e strumento rappresentativo che si attualizza (in senso deleuziano) attraverso l'immagine (in) movimento, ovvero la sua stessa essenza: il film. Teorici e storici del cinema hanno dedicato anni di studio e moltissime pagine di analisi sul metalinguismo cinematografico. Tuttavia già nel 1924, cioè molti anni prima della storiografia cinematografica, dei saggi e degli studi filosofici sul cinema e sul suo linguaggio narrativo, Buster Keaton con Sherlock Jr. (La palla n. 13) metteva a nudo il cinema direttamente sullo schermo. Grazie all'apparente banale storia del giovane proiezionista che cerca invano di diventare un bravo detective, riuscendoci solo nei suoi sogni, Keaton pensa al cinema come laboratorio di sogni attraverso un percorso decostruzionista sia dal punto di vista profilmico (Buster è un proiezionista che lavora all'interno di una sala cinematografica e dunque dentro il cinema, a contatto con le sue tecniche e i suoi strumenti) sia a livello filmico attraverso scelte registiche, stilistiche (sovraimpressioni, dissolvenze incrociate, mascherini, carrelli, ecc.) e l'uso del montaggio. Ma non è tutto. Sherlock Jr. è terreno fertile di implicite riflessioni sul valore e lo statuto dell'immagine (o dell'immagine-sogno direbbe Bergson), sulla presenza in essa del corpo dell'attore (si pensi ai virtuosismi atletici e alle gag di Keaton) e sulla contemporanea assenza di quello del personaggio (filmico e onirico) che rimane pura astrazione e rimando di sé stesso. Restando sul livello diegetico-narrativo del film, nel momento in cui Keaton si addormenta il suo doppio onirico si "stacca" dal suo corpo astraendosi e diventando virtuale. L'ingresso del "fantasma" nello schermo conclude l'attualizzazione e la personificazione delle ambizioni di Keaton-proiezionista e, contemporaneamente, della sua parodia in un'unica figura: Keaton-Sherlock Jr. Il coraggioso e astuto detective (che riesce a risolvere il caso del furto della collana di perle e a conquistare la ragazza) è l'esatto opposto dell'ingenuo e sprovveduto proiezionista che invece non solo non riesce ad acciuffare il ladro dell'orologio (sarà infatti la ragazza a scovare il colpevole) ma altro non fa se non rifugiarsi nella sua sala proiezioni limitandosi a dormire. Il passaggio da un piano narrativo all'altro (da quello diegetico e "reale" a quello onirico) è dichiaratamente rappresentato da Keaton-fantasma che attraversa la sala e oltrepassa lo schermo. Questa scena – simbolo di quella che Robert Knopf ha definito come «una delle più lunghe spaccature narrative nel cinema hollywoodiano» - permette a noi spettatori di prendere coscienza del nostro ruolo e della nostra identità in relazione alla pellicola. Infatti da questo momento noi spettatori del film Sherlock Jr. oltre ad assumere e mantenere volontariamente una totale identificazione con il personaggio di Keaton (reale e onirico), ci accorgiamo di assistere alla visione del film in qualità di "abitanti" di un mondo più esterno e reale che racchiude al suo interno quello del giovane proiezionista e degli spettatori in sala che assistono al film-sogno "Hearts & Pearls". Ora, questo mondo, quello della storia, primo livello diegetico narrativo, contiene a sua volta il mondo del cinema (quello di Sherlock Jr.), più "interno" e irreale che coincide con quello onirico e mentale di Buster. Siamo di fronte a una struttura narrativa a "scatole cinesi" (straordinaria se pensiamo che siamo nel 1924!) nella quale lo schermo ricopre il ruolo chiave di finestra, passaggio e collegamento tra quelli che Umberto Eco chiama "mondi possibili". Personaggi, spettatori, storie, livelli spazio-temporali e narrativi del racconto sono connessi gli uni agli altri proprio attraverso il complesso la figura e il corpo di Keaton. Tuttavia questa connessione e concatenazione di elementi è presente non solo "all'interno" del film (situazioni, azioni, movimenti dei personaggi, ecc.) ma definisce il film anche "dall'esterno" in quanto tessuto di immagini-movimento che si susseguono in modo quasi automatico, come fossero spinte dalla stessa continua forza di (auto)produzione che caratterizza il sogno. In questo circuito dove ogni immagine si sostituisce alle precedenti si crea un movimento che Gilles Deleuze definisce "di mondo". E tale movimento è provocato non da una fonte (filmica o profilmica) ma dalle immagini stesse in cui è contenuto, ovvero nel loro costante passaggio tra l'essere virtuale e l'essere attuale. Come accennato poco fa il personaggio di Keaton riveste un ruolo centrale nel film non solo in quanto protagonista della storia e artefice (oltre che protagonista e sognatore) del sogno, ma soprattutto in quanto attraverso il suo corpo si mette in scena il rapporto con l'ambiente e soprattutto con la macchina. Soffermiamoci qualche istante su quest'ultimo punto. Prendiamo in esame quella situazione in cui Il rapporto tra corpo e ambiente e corpo e macchina è esplicito: la gag. Nell'opera keatoniana (e in particolare nelle gag) il viso, prima ancora del corpo, è il motore che dà il via a quelle «situazioni senso-motorie in cui le concatenazioni di ciascuna sono ingrandite e precipitate, prolungate all'infinito». Dotato di un fortissimo elemento emotivo e affettivo, il volto impassibile, riflessivo e apparentemente indifferente di Keaton ha portato a una condizione «limite» - per usare il termine di Deleuze – la stessa rappresentazione filmica del corpo. Il "volto di pietra" di Keaton esalta lo sguardo come punto di contatto tra corpo (interno) e mondo (esterno) creando tra essi una relazione mentale prima che fisica. Gli stessi primissimi piani di Keaton rivelano questo "contatto" attraverso il rapporto dialettico tra gli occhi e il suo sguardo e l'ambiente quasi sempre inquadrato in campi lunghi. Relazione mentale e relazione fisica tra il corpo e il mondo. Su questi elementi si basano anche le gag ketaoniane alle quali facevamo riferimento poco fa. In particolare sulla "gag-traiettoria" e sulla "gag-meccanica". La prima è basata sull'inseguimento e sulla corsa dei personaggi spesso accompagnati da un montaggio rapido e ritmato che ne evidenzia l'effetto di continuità dato dal susseguirsi di cadute, capitomboli e altre azioni comiche prettamente atletiche. Pensiamo per esempio alle scene in cui Keton pedina il suo rivale, alla successiva "camminata" sui vagoni del treno che termina con la disastrosa caduta (quasi tragica per lo stesso Keaton poiché rischiò di rompersi l'osso del collo!) e al susseguirsi di cadute del protagonista subito dopo essere entrato nello schermo-sogno-film. Con la "gag-meccanica", invece, Keaton sottolinea la sua naturale affinità con il dadaismo e il surrealismo (diffusissimo negli anni '20 in molte forme artistiche) sia per la composizione dell'immagine (la seggiola bianca nel giardino che fa posto al capitombolo nella strada fino all'isoletta colpita dalle onde in cui egli si tuffa ritrovandosi poi in giardino) sia per la scelta di macchine, quasi magiche (come il cinematografo), che smettono di essere strumento al servizio del soggetto per diventarne alleato. Minuto dopo minuto in modo sempre più esplicito Keaton dichiara l'assurdità e la natura totalmente fittizia (perché filmica e onirica, appunto) delle sue azioni rappresentando "alla maniera di Méliès" prima un totale cambio d'abiti in seguito a un salto dalla finestra, poi, dopo qualche istante, la sua stessa scomparsa "tuffandosi" dentro il corpo di una robusta signora Minuto dopo minuto la macchina assume una propria identità e personalità in relazione al soggetto. Ma attenzione: questo non rende la macchina un essere autonomo. Nonostante possa a volte sfuggirgli, è sempre l'uomo che la crea e la inventa, e perciò, per quanto possa diventare apparentemente indipendente, in realtà la presenza del suo artefice si rivela sempre necessaria al suo funzionamento. Il caso più esemplare è sicuramente la lunga fuga onirica di Buster-Sherlock Jr. sulla motocicletta guidata da… nessuno. Si definisce così un disegno "anarchico" in cui alla macchina e alle grandi traiettorie e geometrie si ingloba il corpo umano che a sua volta si "meccanicizza", trasformandosi inconsciamente parte e ingranaggio della macchina. Così i corpi riescono a compiere azioni e movimenti automatici e quasi robotici, ma comunque comici, seguendo traiettorie e tragitti inizialmente non-logici ma che alla fine si rivelano essere comunque sensati: «tutto è funzionale – sottolinea Goffredo Fofi - perché nulla, dentro lo schermo, sembra esserlo». Il corpo si muove in modo involontario in reazione allo spazio circostante creando una situazione di armonia costante (ripensiamo a Keaton seduto sul manubrio della moto). Tuttavia questa forma di equilibrio (precario e infinito) non sembra dipendere da una forza "interna" del soggetto, quanto piuttosto da una "esterna". Keaton non cade e non cadrà mai dalla moto. E nonostante i numerosi ostacoli che incontra sulla strada, che evita (per un pelo), rimane in qualche modo "agganciato" alla moto grazie a una forza "altra" e superiore. Corpo umano e macchina: equilibrio perfetto. Questa è la condizione in cui si trova il giovane detective al quale non resta che accettare il suo ruolo di ingranaggio e lasciarsi trasportare. In questa non-logica o logica assurda si racchiude la relazione senso-motoria di continuità tra la mente, il corpo-macchina e l'ambiente circostante messa in moto dal sogno cinematografico. Questi sono gli elementi che compongono l'immagine filmica di Sherlock Jr. come un totale e completo corpo unico. Dunque Buster Keaton parla del cinema attraverso il cinema e fa teoria del cinema proprio attraverso quelle immagini che gli studiosi inizieranno ad analizzare non prima di una cinquantina d'anni. E in quelle immagini imprime una comicità nuda, tagliente e assolutamente originale, che rimane ancora oggi una delle espressioni cinematografiche più alte della rappresentazione umana in rapporto a una realtà sempre più industrializzata e meccanica: presagio di un sempre più folle mondo digitale e tecnologico. E se Sherlock Jr. fosse veramente un film frutto di un personale sogno premonitore di Keaton? Quello che per ora possiamo dire con certezza è che Buster Keaton ancora oggi, a distanza di circa novant'anni, propone un film capolavoro assoluto del cinema. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.


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