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La leggenda di Kaspar Hauser recensione] - Finalmente un film fuori dagli schemi! E' una critica liberatoria, quella cucita addosso all'ultimo lavoro di Davide Manuli: un'esclamazione di trionfo per la novità assoluta che La leggenda di Kaspar Hauser rappresenta e per i suoi effetti su un cinema tricolore instupidito da troppi diktat commerciali. Dopo infinite rielaborazioni (si parla di oltre tremila libri e incalcolabili articoli) e una celebre traduzione cinematografica firmata dal maestro del grottesco, Werner Herzog, la storia del "fanciullo d'Europa", vissuto brevemente (1812-1833) in quel di Norimberga, sputato dalle viscere di una storia mai realmente accertata, selvatico e semianalfabeta, forse ereditiere negletto, outsider giudicato pericoloso e per questo assassinato, approda nei cinema italiani nella veste, stravolta e provocatoria, di un principe-dj catapultato su una spiaggia sarda e finito a brucare in mezzo a un'umanità archetipica, violenta e pittoresca. Ad accogliere questa derivazione milanese del Fanciullo leggendario, è un serraglio di tipi estremi e coloriti: lo Sceriffo, alter ego postmoderno e cruento di un giustiziere western; il Pusher, incarnazione abbagliante della forza chimica, illusoria, indotta dall'abuso di glamour; il Prete, ambiguo e diffidente, serbatoio di preconcetti velenosi; la Granduchessa, regina trash di un mondo svuotato, in cui si rincorrono gli echi di una bellezza perduta; l'amica Veggente e il Drago. E' una casistica umana defraudata delle sue individualità e ridotta a stereotipi contemporanei, quella concepita dall'estro coraggioso di Manuli: una reunion di infelicità e idiosincrasie attuali, estremizzata da un'estetica un pò punk un pò minimal, che non ha alcuna pretesa di realismo ma riesce a dire della realtà molto più di qualunque scenario urbano. Felice la scelta della location: una Sardegna lunare, asettica, antro di eccessi e di follie, resa più aliena dal girato in bianco e nero. Azzeccata la configurazione di Kaspar, eroe androgino, semiautistico e ipersensibile, eponimo di una generazione alla deriva, condannata a bruciare tentativi su tentativi di autoaccettazione e di inserimento in un mondo ostile. Con un cast eterodosso, che riunisce talenti del teatro e del cinema internazionale, nomi noti e alfieri della sperimentazione, e con una colonna sonora (by Vitalic) che martella il ritmo del film ancor più dell'interazione tra i personaggi, l'indipendente Manuli riscrive un mito del romanticismo tedesco in chiave postapocalittica, proiettandola dalle nebbie libresche del passato sul palcoscenico inquietante della contemporaneità. Un'operazione azzardata e riuscita, condotta con la sicurezza del maestro di cinema che non ha paura di spintonare gli umori stanchi del pubblico e costringerlo a rifiutare le proprie certezze. Da vedere.
(La recensione del film "
La leggenda di Kaspar Hauser" è di
Elisa Lorenzini)
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