LA GRANDE ILLUSIONE di Jean Renoir
di Michele Canalini
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
"La grande illusione" esce nel 1937, a soli due anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando agli occhi di tutto il mondo erano ormai chiare la ferocia e la durezza della dittatura hitleriana. Eppure il film di Jean Renoir, pur raccontando sempre una vicenda di guerra, disegna i contorni di un mondo che già non c'è più, un mondo in gran parte lontano da quegli anni trenta, infausti e forieri di lutto. "La grande illusione" è la storia di due piloti francesi che vengono fatti prigionieri dai soldati tedeschi durante la Grande Guerra, a seguito dell'abbattimento dei loro velivoli. I due vengono prima portati in un campo di prigionia insieme ad altri connazionali e ad altri detenuti di diversi paesi; poi vengono trasferiti in un'altra prigione situata in una fortezza di montagna, sempre sotto il comando delle autorità germaniche. Eppure il mondo che ci descrive Renoir (o che ci dipinge, se vogliamo rifarci al celeberrimo pittore, padre del regista) è un mondo ormai distante, caratterizzato da gesti di rispetto e comportamenti di onore, fatto di autoritarismo ma anche di cortesia, di durezza ma anche di comprensione, pur nella difficile condizione di reclusione derivata dalla guerra. Difatti la vita nel primo campo di concentramento è tutt'altro che rigida per i soldati nemici e l'atmosfera che regna è quella di una concordia civile e soprattutto umana tra carcerieri e detenuti, non aguzzini spietati e vittime inermi come nei famigerati campi nazisti che la storia mostrò a solo pochi anni di distanza. Ma la guerra è sempre guerra e questo dato di fatto resta incontrovertibile: eppure c'è un altro spirito nelle immagini del film di Renoir, perché risalta agli occhi dello spettatore un codice etico delle armi che sembra prevalere nei rapporti tra i protagonisti, secondini e reclusi quali che siano le loro rispettive parti. Uno dei prigionieri è un alto ufficiale dell'esercito francese mentre il responsabile della prigione-fortezza è un maggiore dell'impero germanico, ma entrambi sono di rango nobile: tra i due si stabilisce un rapporto fatto di stima e lealtà, pur nella separatezza dei loro ruoli e degli schieramenti che li contrappongono; tanto che nel finale il maggiore tedesco chiede perdono al capitano francese in punto di morte, dopo essere stato costretto a sparargli per evitare un suo tentativo di evasione. La condizione bellica imponeva quel colpo di pistola ma la coscienza dell'uomo avrebbe voluto farne a meno; tuttavia il capitano francese non è da meno, comprende le ragioni e i doveri dell'altro, assolvendolo da una colpa che in realtà egli non ha diritto di attribuirsi. Questa è la grande illusione, un'etica di valori che, nonostante le atrocità di una condizione bellica, può condurre gli uomini ancora a comportamenti dignitosi senza trasformarli in mostri o cinici assassini. Renoir sembra quasi presagire gli orrori della successiva guerra e la sua illusione è destinata a restare tale, un sogno e niente più. E quando l'altro prigioniero francese, insieme ad un compagno ebreo conosciuto durante la detenzione, riesce davvero a evadere e a raggiungere la Svizzera per fare ritorno alla propria patria, ecco che l'illusione diventa realtà: nello scenario innevato delle montagne alpine, i due prigionieri eroicamente sfuggono ai soldati che li inseguono e nello spazio bianco e puro si avviano felici verso casa. Si può essere nemici, rivali acerrimi, ma resta sempre un'umanità di fondo che non può venire meno in nessuno degli schieramenti coinvolti nel conflitto: guerra sì, ma leale e dignitosa. Il film è considerato giustamente una delle pietre miliari della cinematografia mondiale e vanto della filmografia transalpina: molte delle scene rappresentate sono diventate veri e proprio modelli per le successive generazioni dei registi, non solo francese. Tra queste, memorabile il canto collettivo della Marsigliese da parte dei prigionieri, nel bel mezzo di una rappresentazione teatrale, all'annuncio di una vittoria francese sul fronte: un esempio di attaccamento alla patria, di nazionalismo e grandeur in un momento di grande sconforto per uomini lontani dalle proprie famiglie e dalla terra amata, condensati in una breve sequenza dal fortissimo impatto emotivo. Emozione, d'altro canto, che non viene mai meno di fronte ad una pellicola del genere, un vero e proprio capolavoro. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.