di R. Baldassarre
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La Fratellanza recensione] - L'ingabbiato ambiente carcerario ha i suoi ferrei codici, che vanno onorati per non soccombere (morire o impazzire, sono la medesima cosa). Il cinema carcerario ha anch'esso i propri codici, che vanno rispettati per non deludere le attese. Il Prison Movie ha regolamenti cine-industriali da seguire attentamente, e dopo aver preso spunto da fatti e ambienti reali, li manipola, con eccesso o con sottrazione, per raccontare una tragica storia. Sotto-genere ben incasellato, per non dire ben incarcerato, fa leva su dei topoi ben codificati. Shot Caller di Ric Roman Waugh non si esime dal seguire l'itinerario già tracciato da pellicole similari, seppure voglia tentare un percorso differente di narrazione e d'impatto emotivo. Ma Shot Caller, prima di essere commisurato con pellicole passate con medesime caratteristiche, va confrontato con due precedenti opere di Waugh, di stessa ambientazione e di simile dissertazione. La fratellanza, come titola la distribuzione italiana, va a sigillare un'ideale trilogia carceraria che era iniziata con Felon – Il colpevole (2008) e poi proseguita con Snitch – L'infiltrato (2013). Un voluto ritorno di Waugh in tale genere dettato principalmente dalla voglia di affinare il delicato discorso che già in precedenza aveva indagato in modo poco approfondito. La fratellanza, sotto certi aspetti, sembra una voluta miglioria di Fellon. L'intento del regista non è solamente quello di descrivere, nuovamente, l'infernale mondo carcerario americano, ma soprattutto quello di inserire un discorso antropologico su come la prigione possa mutare un individuo. Nei penitenziari, particolarmente quelle di massima sicurezza, c'è un brutale "darwinismo" in cui solo gli esseri animali più forti riescono a sopravvivere. Nel mostrare ciò, la storia, scritta dallo stesso Waugh, non segue un itinerario espositivo lineare, ma si basa su un puzzle narrativo che mischia il presente e il passato di Jacob/Money. Una frammentata descrizione utilizzata dal regista per creare suspense e centellinare fino all'ultimo le motivazioni che hanno tramutato profondamente il protagonista. La trasformazione fisica e mentale di Jacob ricorda le mutazioni corporee e psichiche del cinema di David Cronenberg, nello specifico come quella di Nikolai Luzhin (Viggo Mortensen) in Eastern Promises (2007), altra storia di fratellanze, codici e tatuaggi identificativi. Ma La fratellanza, nel suo voler indagare a fondo i personaggi e gli ambienti, attinge anche al cinema di Michael Mann e alle sue rappresentazioni visive dell'ambiente ed emotive dei personaggi. Money che getta lo sguardo lontano, verso un orizzonte; oppure il solerte poliziotto Kutcher che spesse volte rimane solo e in silenzio. Quello che difetta, però, in La fratellanza sono le molte semplificazioni narrative, come ad esempio quella descrittiva che Waugh fa sul protagonista. Il passaggio da probo padre e marito, per nulla incline alla violenza, a coriaceo e rispettato carcerato è poco credibile. E anche la durata della pellicola, che vuole essere manniana con le sue divagazioni, sfalda una trama che poteva essere molto più compatta. Alla fine il vero punto di forza rimane l'interpretazione fisica e viscerale di Nikolaj Coster-Waldau, che sorregge con il suo corpo – mutato – il duro percorso che deve affrontare il protagonista.
(La recensione del film "
La Fratellanza" è di
Roberto Baldassarre)
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