LA CORAZZATA POTEMKIN di S. Ejzenštejn
di Veronica Ranocchi
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
"La corazzata Potëmkin" di Sergej Ejzenštein si può annoverare senza ombra di dubbio tra i più
grandi capolavori della storia del cinema.
Questo lungometraggio rappresenta l'esemplificazione sullo schermo di tutte le teorie del grande
maestro cinematografico russo che, per primo, realizza un tipo di cinema esclusivamente legato a un
montaggio ben congegnato e strettamente connesso con le emozioni, sia del personaggio che,
soprattutto, dello spettatore.
La storia narrata e mostrata, suddivisa in cinque atti, mostra quella che è una sorta di denuncia, una
ribellione al sistema dell'epoca e, più nello specifico, la rivolta di alcuni marinai sottoposti a
violenze e angherie. Dopo aver rifiutato di mangiare carne avariata, questi chiedono aiuto alla
popolazione di Odessa che si schiera immediatamente dalla parte dei marinai, insorgendo insieme a
loro. La goccia che fa traboccare il vaso è la morte del marinaio Vakulincuk, a seguito della quale
inizia un vero e proprio tumulto di massa, nel quale i componenti della corazzata e l'intera
popolazione si uniscono e fanno fronte comune. Purtroppo per loro, però, la violenta repressione
non tarda ad arrivare.
Celebre e memorabile è l'intera sequenza della scalinata di Odessa, durante la quale viene mostrata
da vicino l'avanzata dei cosacchi e le conseguenze che essa provoca nelle persone. Il lavoro sul
montaggio al quale si allude precedentemente e che viene definito "montaggio delle attrazioni"
viene applicato proprio in questo specifico momento. Il pensiero di Ejzenštein era quello di
combinare insieme materiali diversi tra loro che dovevano, però, avere il compito e lo scopo di
scuotere l'attenzione e l'emozione dello spettatore, suscitando in lui, in taluni casi, nuove
associazioni di idee. E la discesa della monumentale scala di Odessa è proprio la rappresentazione
visiva di ciò che il regista aveva affermato. I cosacchi, i nemici per eccellenza, durante la loro
discesa schiacciano, come se fossero vermi, chiunque si trovi loro davanti: uomini, donne, bambini
e anziani. Questo perché devono rappresentare l'emblema massimo della crudeltà umana, in quanto
simbolo del potere sanguinario degli zar. Sono numerose le vittime di questa avanzata, quasi infinite
considerando il montaggio di Ejzenštein. Tra le tante, la morte di una madre enfatizzata dalla
ripetizione poetica, dal momento che la caduta viene mostrata due volte allo spettatore, quasi come
se non finisse mai, ma anche gli occhi pieni di dolore, e paura al tempo stesso, di una povera
vecchia ferita a morte che rappresentano, oltre al montaggio delle attrazioni, anche l'idea di "cinepugno",
cioè il film che deve colpire lo spettatore e dargli un effetto di totale e completo shock (ciò
avviene soprattutto con un saggio utilizzo dei primi piani che dovranno essere considerati come dei
veri e propri pugni nell'occhio dello spettatore). Per non parlare, poi, della nota scena della
carrozzina: una madre tenta, invano, di salvare il figlio all'interno di questa carrozzina che continua
a scendere la scalinata e viene completamente abbandonata a se stessa perché né i cosacchi né
nessun altro se ne interessa. Il tutto mescolato ad un ritmo frenetico e, spesso, ad una violenza
gratuita provocano nello spettatore la reazione che Ejzenštein si era prefissato. Il caos che regna
sovrano in questo preciso frangente della vicenda, sul quale il regista sembra soffermarsi più del
dovuto, riesce ad entrare dentro lo spettatore che si ritrova turbato, confuso e perso da tutto il
susseguirsi degli eventi a gran velocità. E' smarrito anche a causa del fatto che il maestro russo non
termina mai una scena, ma quello che ci viene mostrato è un susseguirsi di violenza che sembra
accumularsi e non cessare, non dando, così, il tempo allo spettatore di comprendere ciò che sta
vedendo e di reagire in maniera appropriata. Così facendo, Ejzenštein non si limita solo a mostrare
quella che è stata la rivoluzione russa, in modo più o meno violento, ma la porta realmente
all'interno del film, sotto tutti i punti di vista, dalla narrazione al montaggio, dallo stile alla forma.
Ciò che è necessario, secondo il regista, è arrivare a uno scontro non soltanto tra le persone e,
quindi i personaggi coinvolti, ma anche e soprattutto tra le diverse inquadrature. Ed è proprio per
questo motivo che Ejzenštein riesce a creare un evento di terribile, ma anche straordinaria, violenza.
Ma non è solo il momento della scalinata di Odessa ad essere rimasto impresso nella mente anche
dello spettatore moderno e contemporaneo. Un altro esempio è il momento in cui appare la bandiera
dei ribelli, rimasto nell'immaginario collettivo. Bandiera originariamente colorata a mano in rosso
poiché doveva rappresentare, all'interno di tutto il film in bianco e nero, un'esplosione di colori, per
la quale poi si è tornati al bianco.
Dal punto di vista tecnico e stilistico, "La corazzata Potëmkin" si può, quindi, definire un vero e
proprio capolavoro cinematografico, diventato addirittura, nel corso degli anni, metodo e modello di
paragone per le varie sperimentazioni sul montaggio nonché fonte di ispirazione per omaggi e
citazioni di opere più moderne ("Gli Intoccabili" per citarne una).
A dispetto del pensiero comune e dell'immaginario collettivo il lungometraggio, che si ispira a fatti
realmente accaduti, ha una durata di 75 minuti, nei quali il grande maestro russo riesce a condensare
in maniera più che efficace tutte le sue teorie a proposito del montaggio e soprattutto a proposito
della sua idea di fare cinema, alla base di quella di molti autori successivi. Lo era IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.