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L'uomo del labirinto recensione] - Di Donato Carrisi si può dire tutto ma non che non possieda un suo perchè. Come autore di best seller tradotti in mezzo mondo dà dei punti a tanti suoi colleghi d'oltreoceano celebrati solo perchè d'oltreoceano. Lo stile di scrittura magari non sarà sopraffino (ma di quanti scrittori lo è?), Carrisi però dalla sua ha fantasia da vendere, a dispetto delle centinaia di thriller tutti uguali con serial killer fatti con lo stampino, e l'ardire di sperimentare giocando con le aspettative del lettore, testando i meccanismi del genere fino al limite del punto di rottura. In mezzo a false piste, agnizioni, ribaltamenti, travestimenti e piani temporali sfalsati, il suo marchio distintivo è senza dubbio il colpo di scena che inserisce nei racconti a raffica, non per forza alla fine, talvolta già anche nelle prime pagine, riuscendo sempre ad ottenere la reazione inaspettata voluta. Lo stesso si può dire del Carrisi regista, che del Carrisi scrittore è un'emanazione praticamente diretta. Il suo primo film, La ragazza nella nebbia, può stare al di sopra della media dei thriller hollywoodiani che continuamente invadono le sale nostrane, molti di essi mediocri e privi di originalità. Ora Carrisi ci riprova con L'uomo del labirinto, tratto ancora una volta da uno dei suoi romanzi, e riprovandoci, giustamente, alza il tiro, sprezzante del fatto che quanto più si osa tanto più aumenta il pericolo di fare figuracce. Osa a tal punto che, a proposito di colpi di scena, nel finale dell'Uomo del labirinto ne inanella non uno bensì cinque o forse sei in rapida successione, uno più deflagrante dell'altro, una sfida lanciata alla malizia dello spettatore, già sgamato in materia di trame gialle, in cui è impossibile non cogliere una dose di ironia e irriverente spirito fumettistico. In molti hanno citato Dario Argento e l'horror italiano degli anni '70. Noi ci vediamo di più Sin City e la saga di Saw. Il gioco del resto è manifesto fin dal titolo; che cos'è il labirinto se non un gioco, una sfida, un paradosso dalla soluzione impossibile per definizione? Invenzione straordinaria, luogo fisico, luogo metaforico e luogo della mente al contempo. Come per la scrittura, dal punto di vista formale Carrisi non va giù per il sottile. Non è certo la misura la qualità che gli preme. Simbologie barocche, cliché ridondanti, scenografie dall'espressionismo sfacciato, amore per l'iperbole pacchiana. Ma il film, nonostante le mille sollecitazioni indotte, tiene, fa volare le due ore e dieci di durata e quando l'arcano si rivela, e si rivela, e si rivela, la suspance fino a lì accumulata non si sente tradita o presa in giro come sovente accade con prodotti analoghi, bensì pienamente ricompensata. La critica, che per statuto osanna indecifrabili horror indipendenti di autori semiesordienti alla cui seconda prova hanno già fatto perdere le tracce di sè, l'ha stroncato quasi all'unanimità. Per noi, che statuti non ne abbiamo, è promosso.
(La recensione del film "
L'uomo del labirinto" è di
Mirko Nottoli)
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