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L'uomo d'acciaio recensione] - Un reboot via l'altro questo Superman non riesce proprio a ripartire. Serve a poco anche la cura "cavaliere oscuro" prescrittagli dopo attenta diagnosi dal duo Goyer - Nolan e somministratagli a forza da Zack Snyder. E forse sta proprio qua il parziale fallimento di Man of Steel, nel tentativo di conciliare due poetiche forse inconciliabili, il realismo inquieto di Nolan da un lato e l'enfasi espressiva e retorica di Snyder dall'altro, alla prese con un personaggio lontano, probabilmente equidistante, da entrambi, un personaggio che nella sua iconica semplicità diventa paradossalmente difficile da drammatizzare. Per cui la pellicola, fin dalle prime inquadrature appare in tutto e per tutto come un ibrido che non appartiene, anche visivamente, né agli uni (sceneggiatori) né all'altro (regista): Krypton è un incrocio tra Asgard, Matrix e Guerre Stellari, la astronavi hanno la vaghe fattezze biomorfiche di Alien, lo stesso Superman assomiglia un po' ad Hulk, un po' a Wolverine, un po' a Rambo. In sottofondo altisonanti echi messianici e traballanti parallelismi con l'attualità (lo sfruttamento delle risorse, il tema ecologista, i pericoli dell'eugenetica). Quando però Nolan può fare Nolan e Snyder può fare Snayder, Man of Steel prende quota e lascia intravedere a sprazzi grande cinema: i flashback di Clark adolescente, gli sguardi paterni (un Kevin Costner che nonostante tutto è sempre bello ritrovare), le incomprensioni e le insicurezze di un bambino speciale e pertanto diverso, scisso tra accettazione di sé e accettazione altrui. Nolan è tutto qua: dimentichiamoci il bambino spensierato che cresce nell'autentica America rurale compiendo balzi chilometrici tra i campi di grano ridendo e scherzando. Clark è un bambino spaventato che non sa dominare i proprio poteri, non capisce i messaggi che gli lancia il proprio corpo e s'aggrappa disperato alla mamma. Il talento visionario di Snyder invece affiora nelle magnifiche inquadrature sghembe su singoli dettagli poetici, nelle riprese che isolano un particolare in primo piano lasciando fuori fuoco lo sfondo, in quelle sequenze mute fatte di carrelli a incorniciare gli occhi, le espressioni, i simboli, un gesto del padre con la mano, un cenno del viso, un mantello rosso che sventola e lo sguardo dei genitori che già hanno compreso tutto quello che c'è da sapere. Nella prima parte, pur con qualche cigolio e appesantimento narrativo (ascrivibile in toto all'antefatto su Krypton) c'erano quasi riusciti a conciliare l'inconciliabile. Poi però l'ingombrante protagonista giunge a reclamare il suo spazio e con lui gli ingombranti nemici, l'ingombrante contesto, gli ingombranti effetti digitali a render conto di tecnologie aliene futuristiche e guerre intergalattiche condotte da esseri potenti come dio che distruggono un grattacielo con un battito di ciglia, volano alla velocità della luce e più in generale se ne sbattono di qualsiasi legge fisica nostrana. Il che si traduce in oltre un'ora di demolizioni urbanistiche in cui il nostro e gli scagnozzi del generale Zod (ve lo ricordate Terence Stamp in Superman II?) si prendono a cazzotti sfondando muri di cemento, squassando strade, abbattendo palazzi, modificando dalle fondamenta la geografia. Che ad un certo punto si spera che non facciano altri sequel perché altrimenti del pianeta Terra non rimane più niente! Oltre un'ora di soverchianti e labirintiche sequenze action iperrealistiche in cui Man of Steel diventa Transfromers e fa rimpiangere il Superman sfortunato ma non privo di qualità del povero Brandon Routh. Henry Cavill è di sicuro più aitante ma il momento di sovrapporre il suo viso a quello dell'indimenticato Christopher Reeve è ancora molto al di là da venire. (di
Mirko Nottoli)
(*) La storia di Superman la conosciamo tutti e non è tanto per dire: la conosce davvero tutto il mondo. Il pianeta Krypton è abitato da creature dalle sembianze antropomorfe ma mille anni luce più all'avanguardia di noi terrestri, così avanti che, a corto di materie prime, hanno prosciugato il pianeta fino al nucleo e ora Krypton sta per esplodere. Jor-El e Lara Lor-Van, due splendidi esemplari kryptoniani, spediscono il loro unigenito Kal-El sulla Terra per salvargli la vita e dare al pianeta la speranza di rinascere. Kal atterra in Kansas nella fattoria dei Kent, che nascondono nel capanno la navicella spaziale e adottano il bambino dandogli nome Clark. Tutto bene fino ai trent'anni, quando il ragazzo, che nel frattempo è andato in giro per il mondo alla ricerca delle sue origini, scopre finalmente tutta la storia. A raccontargliela è il padre morto, una sorta di fantasma amletico che tutto sa e tutto può e ricompare periodicamente come guida spirituale o coscienza parlante. Quello che Clark non sa (e nemmeno il fantasma del padre) è che hanno attivato un segnale che li ha resi visibili ai superstiti di Krypton, tra cui il vendicativo Generale Zod, uccisore di Jor-El, che vuole ripopolare la Terra. Zod però non è disposto ad adattarsi alle condizioni atmosferiche del nostro pianeta come gli suggerisce Clark, perché ci vorrebbe troppo tempo, quindi decide che è meglio adattare l'atmosfera terrestre alle sue esigenze (maledetti alieni, vogliono tutto e subito!). Inizia in questo momento la guerra fra Clark, con tutina e mantellino d'ordinanza, un esiguo gruppo di kryptoniani e l'esercito U.S.A. che in 143 minuti di film sprecherà cinque tonnellate di piombo prima di capire che le pallottole non hanno nessun effetto sugli alieni e che è meglio lasciar fare a Superman. Dopo una quantità imprecisata di scene di combattimento tra Zod e Clark, tutt'e due velocissimi, capaci di volare e con una forza straordinaria, proprio quando sembra impossibile che uno prevalga sull'altro, in un crescendo di tensione, di spintoni e di rumore, Clark spezza il collo a Zod e finisce tutto.
La prima mezz’ora di film era quasi convincente, fino a quando non è parso chiaro a tutti che ogni volta che compariva con il suo costume (su cui persino la madre ironizza), misteriosamente Clark cambiava anche acconciatura. Spettinato Clark/capelli all'indietro Superman. Ah! Ovviamente tutta la storia s'intreccia con l'idillio d'amore tra il nostro supereroe e la giornalista fresca di Pulitzer, Lois Lane: è lei che scopre la vera identità di Clark, lei che si arrampica tra i ghiacciai, lei che si allea con il fantasma di Jor-El per architettare un piano vincente. Insomma, lei la mente, lui il braccio. Alla fine, a pericolo scampato, chiaramente si baciano.
Usare un soggetto così popolare ha i suoi rischi. Puoi prenderti la briga di chiamarlo Man of steel, puoi mettere Russel Crowe nei panni di Jor-El e anche Kevin Costner in quelli di Jonathan Kent, ma se non dai al film quel quid in più che lo distingua da tutti gli altri film sullo stesso argomento (e il 3D non conta), sarà soltanto uno in più. Il finale della storia è già noto al pubblico, è quindi necessario far leva su qualcos'altro. Non che sia facile intuire quale sarebbe potuta essere l'arma vincente, magari la narrazione dal punto di vista marginale di uno dei personaggi, o un'attenzione maggiore alla psicologia del protagonista, insomma qualcosa di inaspettato e in controtendenza. Invece no, tutto è prevedibilmente come da manuale, con una scarsissima attenzione ai dialoghi che finiscono per essere di una terribile ovvietà.
(di
Francesca Cantore)
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