L'UOMO CHE NON C'ERA
di Joel e Ethan Coen
di Dario Bevilacqua
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
California, 1949: il barbiere Ed Crane (Thornton, non cambia mai espressione, ma lo vuole il personaggio: bravo, credibile ed efficace), che sospetta l'infedeltà della moglie Doris (McDormand, sempre all'altezza del suo ruolo), incontra un commesso viaggiatore che gli propone di mettere su, una catena di lavaggio a secco. Ma per entrare nell'affare servono molti soldi, ed Ed decide di ricattare l'amante di Doris (Gandolfini, bravo come sempre, con la sua fisicità debordante, che riempie lo schermo). Una storia di fumo e nebbie che si diradano solo in punto di morte, e di luci e ombre, che nascondono la verità e la personalità del suo protagonista. Un delitto maledettamente imperfetto, con l'America del boom economico, cialtrona, pressappochista e immorale, a fare da sfondo. Una storia di non vita e non essenza che prende forma in un bianco e nero di contrasti perfetti e va a scolpirsi sul volto di gesso di un fumoso Billy Bob Thornton. "L'uomo che non c'era" è la storia di un uomo senza qualità, di un signor nessuno che forse non c'è mai stato, tanto invisibile da finire male, tanto impalpabile che è meglio che se ne stia buono in un angolo di un barbiere, a rinunciare a qualsiasi colpo di testa. Al di là delle intenzioni dei poveri mortali che popolano questa terra, una società cannibale e il caso,
terribile manovratore, contribuiranno a rendere beffarda e relativa ogni azione umana. In proposito, non si può non citare lo spiazzante monologo dell'avvocato Freddy Riedenschneider, pronunciato da Tony Shalhoub in una scena di rara bellezza e profondità: " They got this guy, in Germany. (...) He's got this theory, you want to test something, you know scientifically - how the planets go round the sun, what sunspots are made of, why the water comes out of the tap - well, you got to look at it. But sometimes you look at it, your looking changes it. You can't know the reality of what happened, or what would've happened if you hadn't-a stuck in your own goddamn «schnozz». So there is no "what happened"? Not in any sense that we can grasp, with our puny minds. Because our minds... our minds get in the way. Looking at something changes it. They call it the "Uncertainty Principle". Sure, it sounds screwy, but even Einstein says the guy's on to something ". È il principio di indeterminazione di Heisenberg, per cui niente, in questo mondo, può essere assolutizzato, e il solo fatto di guardarlo o descriverlo, lo modifica, relativizzandolo e rendendolo incomprensibile. I Coen, abili incantatori e grandi direttori di attori, mantengono un registro noir non solo da un punto di vista estetico (girato originariamente a colori, e poi portato al bianco e nero, il film richiama, inter alia , le opere di Fritz Lang e Hitchcock), ma anche affondando in una malinconica disillusione che si basa però sullo stravolgimento di un tipico schema del cinema nero : l'ossessione, qui, nasce e si sviluppa da un profondo stato di apatia, di non-ossessione e di rinuncia, condannando comunque il protagonista ad un'esistenza altra rispetto allo spazio in cui si colloca. "L'uomo che non c'era" è una pellicola straordinaria (premiata a Cannes per la regia), un film senza tempo, che non manca di sorprendere ad ogni nuova visione. Un piccolo capolavoro sfuggito a molti e sottovalutato da altri.