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L'Universale recensione] - «Da quanto tempo avete chiuso?» «A maggio fanno sei anni. Non veniva più nessuno. Lei lo sa meglio di me. La crisi, la televisione, le cassette... Oramai il cinematografo è solo un sogno. Adesso l'ha acquistato il comune per farci il nuovo parcheggio pubblico.» Questo scambio di battute tra Salvatore e Spaccafico in Nuovo Cinema Paradiso ben sintetizza la fine di molte sale cinematografiche dagli anni Novanta a oggi.
Ecco, il cinema Universale di Firenze era una di queste sale.
Nel 1989 ha chiuso i battenti. «Ci venivano solo i soliti quattro bischeri» dice la Franchina a Tommaso Nencioni, il protagonista del film L'Universale. Ma questo cinema è rimasto nel cuore e nella memoria di molti fiorentini anche dopo che le sue luci si spensero.
L'Universale aveva una caratteristica che lo rendeva unico nel suo genere: lo spettacolo era il pubblico. Non il film. Nel libretto Breve storia del Cinema Universale si dice che «Il bello del cinema Universale è che non era un cinema, cioè almeno non lo era nel termine etimologico della parola. C'era tutto, lo schermo, le poltroncine, i corridoi, la cassiera e pure la maschera. Ma non era un cinema. Sì, perché al cinema si va per vedere il film, all'Universale il film era solo il pretesto, la scusa, e anzi più il film era brutto migliore era lo spettacolo, perché lo spettacolo non era sullo schermo, ma era in sala.»
I commenti alla pellicola proiettata si sprecavano. Memorabile è rimasta quella, durante la proiezione del film maledetto Ultimo tango a Parigi, quando Marlon Brando vuol possedere Maria Schneider e infila le dita nel panetto di burro: in quel momento, uno si alzò in piedi e nel silenzio della sala gridò: «Vai Marlon... Abburracciugagnene!» Seguì una risata fragorosa da parte di tutto il pubblico.
Il regista Federico Micali già nel 2008 aveva girato un documentario sulla storica sala del quartiere di San Frediano, Cinema Universale d'Essai, ed è stato proprio ascoltando i racconti di chi il cinema Universale lo aveva vissuto veramente che ha deciso di farci un film.
L'Universale è la storia, attraverso due decenni (gli anni Settanta e Ottanta), di Tommaso Nencioni, il figlio del proiezionista del cinema, quest'ultimo interpretato dall'ottimo Claudio Bigagli, e dei suoi due amici, Alice (Matilda Lutz) e Marcello (Robin Mugnaini). Ed è proprio Tommaso, un bravo Francesco Turbanti che per certe espressioni ricorda il primo Francesco Nuti, a raccontarcela in prima persona. Tommaso è un ragazzo come tanti, uno di quelli che vede i cambiamenti del mondo attraverso la lente del microcosmo in cui è sempre vissuto, un disimpegnato che prende la vita «con l'ironia dell'Universale». Alice e Marcello invece sono diversi, attraversano i cambiamenti della società partecipandovi attivamente ma con uno spirito arrendevole, incarnano i sogni, le illusioni e soprattutto le sconfitte di quella generazione.
Ma L'Universale è anche la storia del cinema stesso, che dal peplum e dai western passa all'ACIP (acronimo che sta per film ad "Alto Contenuto e Impegno Politico") destinato al pubblico giovanile degli anni Settanta, e dei personaggi che l'hanno frequentato, come Ivo Tanturli (il vignettista Vauro), il compagno comunista che si commuove davanti ai film di John Wayne, o il Tamburini (un simpatico Maurizio Lombardi), il padre di Alice sempre con la battuta salace pronta durante la proiezione del film.
Sebbene il richiamo a Nuovo Cinema Paradiso possa essere forte, Micali sembra rifarsi alla lezione di Monicelli e resta alla larga dalla nostalgia, nel senso deteriore del termine, e dal facile e ruffiano sentimentalismo che prevarica nello splendido film di Tornatore. Preferisce soffermarsi sui volti, sui personaggi che hanno accompagnato il protagonista fino al 1989, dipingendo un preciso quadretto di vita. E anche nel finale, quando tutti si sarebbe aspettati di tirar fuori i fazzoletti, Micali sceglie una soluzione meno romantica, ma più vicina allo spirito caustico toscano.
È un film che vede nel cinema un luogo di aggregazione (ma anche di disgregazione) e ne rammenta il ruolo che ha avuto nella società italiana come prodotto culturale, mentre il Paese stava cambiando.
(La recensione del film "
L'Universale" è di
Stefano Bucci)
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