La recensione del film L'ufficiale e la spia

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L'UFFICIALE E LA SPIA - RECENSIONE

L'ufficiale e la spia recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[L'ufficiale e la spia recensione] - Francia, gennaio 1895. I fratelli Lumière inventano il Cinematografo, la straordinaria novità del XIX secolo. Intanto nel cortile dell'École Militaire di Parigi, Georges Picquart (Jean Dujardin), ufficiale dell'esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus (Louis Garrel), capitano alsaziano di origine ebraica, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Il capitano Dreyfus fu esiliato e condannato come traditore della Patria, confinato sull'isola del Diavolo nella Guyana francese. Quando il caso sembra archiviato, Picquart, nominato capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che si era occupata del caso Dreyfus e delle relative accuse, si accorge che la fuga d'informazioni al nemico non si è affatto arrestata. Il dubbio lo assale e nella sua mente fa sempre più breccia la possibilità che Dreyfus sia stato accusato ingiustamente. Per Picquart inizia una vera e propria sfida contro i suoi superiori, tutto in nome dell'onore e della verità. Roman Polanski, accusato ancora una volta di violenza sessuale, è stato pesantemente attaccato in Francia da frange femministe che hanno dimostrato davanti al cinema dove si proiettava questo suo ultimo lavoro cinematografico, "J'accuse", che prende il titolo dell'articolo pubblicato sul "Le Figarò" nel 1897, dall'innocentista Emil Zolà accusando tutti i responsabili della condanna a Dreyfus. Intanto, il cineasta polacco mette in scena uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia, che all'epoca divise la Francia tra innocentisti e accusatori. Un momento in cui, tra il 1894 ed il 1906, la Francia era preda di un odio antisemita ingovernabile. Polanski, volente o nolente, forse ha colto un altrettanto momento fecondo di clima antisemita dell'attuale società. Scrive l'impeccabile sceneggiatura a quattro mani con Robert Harris, autore del romanzo da cui è tratto il film, "The Dreyfus Affair" e mette in scena lo sconcertante fatto storico rispettando una costruzione cinematografica minuziosa e avvincente con stilemi del cinema classico. Affronta, con maestria da istrione dello schermo, un brutto fatto della storia francese, visto dalla prospettiva dell'individuo vittima di un'accusa distruttiva. Una vicenda corrosa dall'odio antisemita sullo sfondo di uno scenario di complotti mistificatori della Terza Repubblica Francese, messa a dura prova dal conflitto franco-prussiano. In un certo senso il cineasta polacco compie un'indagine acuta e problematica dei complessi problemi di una società che fece (e fa) dell'odio razziale una meta in cui il dramma individuale e collettivo ebraico venne strumentalizzato da sotterranei e biechi interessi di potere. "L'ufficiale e la spia", presentato alla 76° Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia, rievoca un affare giudiziario di vaste proporzioni in cui la giustizia non solo fallì, ma venne talmente manipolata da risultare inesistente. Polanski affonda le radici in quello che fu un vero e proprio fattaccio, con un'osservazione spregiudicata ed una criticità chirurgica. Inquadrature a distanza ravvicinata e a tutto campo, come nella scena iniziale in cui l'enorme spazio racchiude tutto il dramma dell'uomo Dreyfus, descrivono la straordinaria spettacolarizzazione dell'evento. La nitidezza della fotografia di Pawel Edelman coordina magistralmente gli effetti visivi decisi con il regista. Alla fine, "L'ufficiale e la spia" rimanda a quel classicismo cinematografico, in cui ambientazione, costumi, scenografia e perfetta recitazione hanno come risultato un affascinante ma tragico affresco di un secolo, il XIX, tra estetica, etica ed ingiustizia di potere. (La recensione del film "L'ufficiale e la spia" è di Rosalinda Gaudiano)
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