La recensione del film L'ora più buia

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L'ORA PIU' BUIA - RECENSIONE

L'ora più buia recensione
Recensione

di A. Bizzotto
[L'ora più buia recensione] - Un film costruito sul suo protagonista, impegnato in un impressionante tour de force: Gary Oldman, irriconoscibile sotto il makeup, è Wiston Churchill fresco di nomina a Primo ministro in seguito alle dimissioni di Neville Chamberlain, quando la minaccia di Hitler inizia davvero a spaventare Londra. L'Europa sta cedendo sotto i colpi del fuoco nazista, truppe britanniche sono isolate sulla spiaggia di Dunkerque e le pressioni del Parlamento al nuovo governo sono un coro pressochè unanime: trattare la pace con la Germania è necessario. Churchill, però, vede più lontano di tutti. Perchè sa che esiste una pace solo al di là della guerra con il tiranno tedesco (dura e tesissima la scena in cui, nella sua solitudine, Churchill lo apostrofa con gli insulti più variegati). Isolato e seguito da sempre meno ministri, in quei giorni cruciali fra il maggio e il giugno del 1940 il premier britannico non cede, anche a costo del sacrificio del manipolo di soldati inglesi intrappolati a Calais, impegnati a distrarre il nemico mentre l'Inghilterra metteva in salvo i quattrocentomila di Dunkerque. Girato con il pregio tecnico e il raffinato virtuosismo cui la regia di Joe Wright ci ha abituato dai tempi di Orgoglio e pregiudizio ed Espiazione, L'ora più buia sorprende perchè fa fibrare di credibilità un soggetto che, sulla carta, avrebbe potuto essere didascalico, freddo e leggermente polveroso, importante ma pregno di una solennità da sbadiglio. Il film invece, brillantemente sceneggiato da Anthony McCarten (La teoria del tutto), riesce nel piccolo miracolo di accendere un'appassionata scintilla anche in un plot che si snoda in interni polverosi, in sale piene di ombre, o in un vagone della metro londinese mal illuminata in cui Churchill (colpo di coda della fantasia) incontra il popolo inglese e la sua volontà di combattere e non arrendersi. Il dramma dell'uomo, il suo senso di solitudine, il cozzare dell'ambizione e della durezza della politica convivono con il respiro più ampio che L'ora più buia non perde mai, evitando la retorica nazionalistica ben mixandola alle note del thriller politico di alto profilo. Il film di Wright, così, diventa un crescendo di tensione che dribbla la retorica e che non annaspa mai: 125 minuti tesissimi, duri, ma anche di inaspettata, avvicente bellezza, di autentico piacere della narrazione cinematografica. Accanto alla monumentale prova di Oldman, in prima linea nella corsa all'Oscar al miglior attore grazie a una verità che trasuda solida e potente dal mimetismo d'interprete, brilla nel piccolo ruolo della moglie Clementine un'altra icona del cinema europeo come Kristin Scott Thomas. Da premio anche la fotografia del francese Bruno Delbonnel (quattro nomination all'Oscar all'attivo), maestro nel dosare luci e ombre tingendo i grigi di blu e di verde, e le musiche dell'italiano Dario Marianelli (Oscar per la colonna sonora di Espiazione). Brillante, sempre, lo sguardo ammirato su un'era politica pre-social network, il potere delle cui parole fa tremare ancora oggi: l'afflato dei discorsi di Churchill non si è perso. "Noi difenderemo la nostra Isola, a qualunque costo. Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline; noi non ci arrenderemo mai". (La recensione del film "L'ora più buia" è di Alessandro Bizzotto)
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