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L'Isola dei Cani recensione] - L'isola dei cani è un gioiello. I gioielli sono preziosi anche se non c'è un motivo, sono rari ma non servono a niente. Sono bellezza gratuita, allo stato puro. Come l'amore. Essere amati senza merito è il sintomo del vero amore, scriveva Milan Kundera. Ebbene, L'isola dei cani è bellezza allo stato puro. Amore allo stato puro. Non ha granché da dire, non contiene particolari morali recondite e rivelatorie, non induce a riflessioni di sorta. E' semplicemente una favola, in forma di avventura, che dischiude un universo pastellato, poetico e immaginifico, fantasioso e bislacco, sorprendente e imprevedibile, dove ogni cosa, al di là delle mille peripezie, dell'imprevedibilità appunto degli eventi, di una logica rovesciata che però non è mai nonsense ma solo una logica che segue traiettorie tutte sue, va esattamente dove deve andare. Come già in Moonrise kingdom, altro gioiello firmato Wes Anderson, altro monumento eretto al potere della fantasia ma dove la fantasia è sempre sottoposta al giudizio della ragione. Perché chi pensa che l'amore sia sinonimo di irrazionalità e che non c'entri niente con la ragione, pensa da pivello. Solo tramite il pensiero si può giungere all'emozione, sembra dirci Anderson, e ce lo dice non tramite il contenuto del racconto ma tramite la forma. Da qui discendono le inquadrature rigidamente frontali, la cinepresa rigidamente fissa, il senso di simmetria che domina la composizione. Da qui discende il continuo understatement che è anima e corpo del racconto, la pietra angolare da cui scaturisce la sua magia, quello scarto tra ciò che si dice e come lo si dice, che se da un lato crea effetti di comicità esilarante, dall'altro permette nello stesso tempo di ottenere un concentrato di sentimenti attraverso i gesti e gli sguardi di personaggi che pare non ne posseggano alcuno. Ridere e piangere contemporaneamente così come quando gli occhi dei cani dall'espressione imperturbabile si riempiono d'improvviso di lacrime. L'understatement va di pari passo all'imperturbabilità. Restare imperturbabile di fronte alle situazioni più disperate, restare imperturbabili di fronte alla tragedia. O alla commedia. L'isola dei cani, e tutto il cinema di Wes Anderson, è intriso di fatalismo, un atteggiamento beatamente ottimista che pervade tutti i personaggi della vicenda che si comportano come se fin dall'inizio sapessero che tutto va come deve andare ed essendo dentro una favola, per definizione, andrà bene. Indi per cui non c'è bisogno di urlare, disperare, strapparsi i capelli, l'happy end è già inscritto nell'animo dei protagonisti ed ha un potere taumaturgico in chi guarda. L'isola dei cani fa stare bene, riscrive i termini del feel good movie elevando quello che solitamente è un filmetto da cassetta ruffiano ad un'opera d'arte dall'alto tasso di autorialità, estremamente arty ma incredibilmente non artificioso. L'animazione in stop motion, lungi dall'apparire come un vezzo da intellettuale engagé, retrò e misoneista, regala invece calore, concretezza e quell'autenticità che è prerogativa unica della materia. Assolutamente da vedere. E conservare. Personaggi indimenticabili. Tra tutti la menzione speciale va a Oracle, il carlino che guarda la televisione.
(La recensione del film "
L'Isola dei Cani" è di
Mirko Nottoli)
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