di R. Baldassarre
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L'incredibile vita di Norman recensione] - Per il suo primo lungometraggio in lingua inglese, e girato in suolo americano, il regista yiddish Joseph Cedar ripesca una nota figura millenaria della "mitologia" israelitica, cioè quella dell'ebreo cortigiano. Leggendo il materiale stampa, Cedar inizialmente era interessato a realizzare un biopic sul regista tedesco Veit Harlan, famoso per la pellicola antisemita Süss l'ebreo, per poi incominciare a provare interesse per il bieco personaggio del film, Süss Oppeneheimer. La trama del film di Veidt, intrisa dell'apologia nazista, rendeva più cattiva la figura dell'ebreo cortigiano, per propagandare l'idea che gli ebrei erano malvagi. Cedar, partendo da quel "progetto abortito", ha mantenuto la figura "mitica" e il cognome del protagonista, ma ha virato il personaggio adulatore verso un carattere più buono e innocente. Certo, Norman Oppenheimer rimane un cortigiano, un uomo che blandisce gli uomini potenti, ma il suo atteggiamento non è disonesto. Il suo eccessivo attaccamento, la sua logorrea, il suo sparare consigli (non richiesti), non sono atteggiamenti per ingraziarsi il potente di turno, o per ricevere in cambio favori di tipo materiale. Le sue insistenti azioni sono solo per avere attenzione, stima, amicizia. Dietro i lineamenti caratteriali di cortigiano, c'è soprattutto la figura di un anziano rimasto solo che cerca il calore umano. Dopotutto di Norman non sappiamo nulla, sia del suo passato e sia del suo presente. È perennemente in cammino per la città di New York, e tutto quello che possiede (che noi possiamo vedere ciò che possiede) sono i suoi abiti, la sua borsa e lo Smartphone. È quasi un uomo della strada, ma ben curato e non povero, avendo un cellulare e una carta di credito con un buon fondo economico. La sua solitudine viene rimarcata, con sottolineature amare, diverse volte, come quando cena con scadenti gallette e pezzetti di pesce in barattolo, oppure nella sala d'attesa della stazione dei treni. L'unico oggetto a cui tiene di più è lo Smartphone, mezzo che gli consente di parlare con i potenti, e fingere, durante le conversazioni che si svolgono in luoghi miseri (strade periferiche, bagni pubblici o sale d'attesa), di essere in ufficio o in viaggio. Nel raccontare questa variazione contemporanea dell'ebreo cortigiano, Joseph Cedar, autore anche della sceneggiature, pigia molto sull'aspetto visivo. Molte scene, edulcorate con gli effetti speciali, sono un'estensione di quello che cerca di vivere Norman. Le distanze tra Norman e i differenti interlocutori vengo unite, e ampliano anche la comicità delle bugie del personaggio. Ma quello che riluce in questa "pièce" newyorkese, come viene punteggiato dai quattro "atti" che scandiscono la storia, è l'interpretazione di Richard Gere. Il fascinoso attore si cala nel ruolo invecchiandosi e "ingobbendosi", e la spacconeria di molti suoi personaggi del passato, si trasforma in un carattere vivace ma fragile. Alla fine Norman: The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer si rivela una raffinata commedia yiddish impregnata di umanità. Quello di cui pecca è solamente di non essere più concisa nella durata.
(La recensione del film "
L'incredibile vita di Norman" è di
Roberto Baldassarre)
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