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L'estate addosso recensione] - C'era una volta una canzone di Jovanotti intitolata L'estate addosso che doveva diventare la colonna sonora del nuovo film di Gabriele Muccino. La canzone esce ma il film no. Non è ancora pronto, si dice. In realtà il film non c'è ma la notizia è ormai uscita e Muccino deve scrivere per forza un film in fretta e furia. Peccato che non abbia niente da dire per cui fa un film in cui non dice niente. Questa, per sommi capi, la sensazione. Che non sia la canzone ad essersi ispirata al film ma il film alla canzone. Infatti Jovanotti cita le code di balena e Muccino infila una balena nel film. L'unica certezza, fin dal titolo, era l'estate ed estate sia. L'estate dei 18 anni, l'estate del momento di passaggio, della perdita dell'innocenza e l'affacciarsi all'età adulta, l'estate come momento magico, spartiacque tra un prima e un dopo. L'estate di Marco e Maria, due adolescenti che mal si sopportano che per caso si ritrovano a fare un viaggio insieme a San Francisco, ospiti di una coppia di ragazzi gay e lì qualcosa accade, d'inaspettato. Qualcosa è la definizione più azzeccata. Perchè di preciso non si sa cosa accade. Del Muccino de L'ultimo bacio tutto si può dire ma non che non fosse un autore moderno, di respiro internazionale, dal piglio innovativo e deciso, abile e un po' ruffiano nello strizzare l'occhio allo spettatore. Ne L'estate addosso lo ritroviamo fiacco e privo di idee, antico nei modi, anacronistico nei temi, paternalistico nei toni. La normalissima storia dell'incontro dei due giovani omosessuali è narrata come se fossimo nell'Ottocento, con tanto di flashback e voce fuori campo in terza persona e incomprensibili drammi posticci come i genitori di uno dei due che si oppongono e pronunciano frasi da teatranti navigati tipo "se lo rivedrai ancora sfascerai questa famiglia" (Scott Bakula in un curioso cameo). O come lei che a diciott'anni si scandalizza alla presenza dei due gay chiamandoli depravati solo per essere gay o loro che si meravigliano per il fatto che lei è "così lontana da casa"come se prendendo un aereo non ci volessero 6 ore per tornare a Roma, come se fossero due pastori mongoli nelle sperdute piane del Gobi che si vedono arrivare Marco Polo giunto da chissà dove. O, ancora, i due gay che attraversano l'America in cerca di rifugio, in fuga dal paese natio, estemporanei Huckleberry Finn ignoranti dell'esistenza della globalizzazione e di internet. Ecco perchè L'estate addosso è un film completamente sfasato che pare sia stato scritto trent'anni fa, che ci narra di eventi normalissimi come se fossero straordinari, inanellando una serie infinità di clichè e ingenuità: loro che urlano al vento come sfogo liberatorio, lui novello Leopardi che si sente diverso dagli altri perchè pensa alla morte, lei che si sente diversa dalle altre perchè non beve, non fuma e non scopa e quando trova se stessa comincia a bere, a fumare e a scopare, l'altro che abbandona il lavoro di ufficio per occuparsi dei cavalli perchè "la vita è troppo breve per non essere felici". Eppure va detto che alla fine l'Estate addosso riesce a lasciarti un retrogusto dolce, come se qualcosa, qualcosa, in maniera subliminale, inconscia, ti sia entrato dentro e ti sia rimasto appiccicato addosso. Come l'estate dei quattro protagonisti in cui apparentemente nessun pezzo sembrava combaciare con l' altro, in cui tutto era talmente imperfetto ma tutto talmente equidistante da uno stesso centro instabile, da reggersi magicamente in piedi da solo, un equilibrio precario dove un singolo, impercettibile movimento non all'unisono rispetto agli altri, sarebbe bastato a far crollare l'intera, impalpabile, costruzione. Momento indelebile che porta con sé la gioia di averlo vissuto ma anche la drammatica consapevolezza che quel momento non sarebbe mai più ritornato.
(La recensione del film "
L'estate addosso" è di
Mirko Nottoli)
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