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L'Arbitro recensione] - "Tutto quello che so della vita l'ho imparato dal calcio". Con l'epigrafe di Albert Camus si apre L'Arbitro, primo lungometraggio di Paolo Zucca. Una citazione che diventa subito dichiarazione d'intenti ovvero il calcio come metafora della condizione umana. La tattica, la tecnica, il talento, la forza e la velocità, il caso e la fortuna, chi attacca e chi difende, chi vince e chi perde, chi tira sempre e non segna, chi tira una volta sola, segna e vince. Forse nessuno (nemmeno Camus) l'ha cantata meglio di Max Pezzali, la metafora, ne La dura legge del gol. In un elegante bianco e nero, in una Sardegna dell'entroterra, primitiva di rocce e strade ghiaiate, si gioca il campionato di ultimissima divisione dove lo scalcagnato Atletico Pabarile, ultimo in classifica non ha ancora vinto una partita. L' allenatore cieco, un giocatore zoppo, campetti sterrati tra cimiteri abbandonati e il niente, la situazione cambia quando dall'Argentina fa ritorno a casa Matzuzi. La vertiginosa ascesa nelle parti alte della classifica del Pabarile fa da contrappunto alla parabola inversa e contraria dell'arbitro Cruciani detto "il Principe" che dalla prospettiva di arbitrare la finale di Champions League, complici avidità e cattivi consiglieri, si vedrà deferito e catapultato su un traghetto della Sardinia Ferries, destinazione Montiferru. Su ben altri campi di gioco, attorniato da falci e bastoni branditi da minacciosi figuri pingui e sdentati alla Ciprì e Maresco, il Principe dirigerà la sua finale senza perdere l'aplomb dello stile che gli regalò l'epiteto. Si prestano divertiti alla digressione semiseria Stefano Accorsi (sulle cui scelte artistiche ci sarebbe da discutere), Marco Messeri, Francesco Pannofino, l'oristanese doc Benito Urgu e Geppi Cucciari che con qualche chilo di meno può ora trastullarsi di diritto a incarnare la donna del desiderio. In principio L'arbitro era un corto e da qui quella che poteva essere solo una sensazione diventa una certezza, quella di un film che è stato stirato e dilatato oltre il necessario, fatto lievitare artificialmente per cui si è gonfiato nella massa ma non nella sostanza. Paolo Zucca ci sa fare e si vede soprattutto nelle riprese sul campo da calcio. Purtroppo per raggiungere i fatidici 90 minuti è costretto a ricorrere ad una sovrabbondanza formale che scongiura la noia grazie all'ironia ma che rischia di sconfinare nel frivolo velleitarismo.
(La recensione del film "
L'Arbitro" è di
Mirko Nottoli)
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