La recensione del film L'amore che resta

.       .

Vai ai contenuti

FILM > RECENSIONI

L'AMORE CHE RESTA - RECENSIONE

L'amore che resta recensione
Recensione

di R. Gaudiano
[L'amore che resta recensione] - (Su Chili) - Di Gus Van Sant, regista indipendente, noto per i suoi sorprendenti ritratti generazionali, ricordiamo due film diventati cult movies, "Drugstore Cowboy" e "Belli e dannati", ai quali si aggiungono "Elephant" sulla strage in una scuola di Denver nel 1999, Palma d'oro al Festival di Cannes, e "Last Days", uno sguardo cupo su un'adolescente che si autodistrugge. Con "L'amore che resta" il regista americano rimane magnificamente nella tematica generazionale e racconta la perdita della dimensione affettiva di un'adolescente in un incolmabile vuoto doloroso. Enoch (Henry Hopper), è un ragazzo che dopo tre mesi di coma è l'unico sopravvissuto ad un incidente automobilistico in cui sono morti i suoi genitori. Vive una realtà carica di solitudine, uno stato primitivo, in cui da una parte c'è il mondo smisurato e minaccioso e dall'altra un nonnulla. S'intrufola, vestito di tutto punto, in qualsiasi funerale di gente che non ha mai conosciuto. Ha un unico amico, Hiroshi (Ryo Kase), giovane pilota giapponese suicida durante il secondo conflitto mondiale. Durante la solita imboscata in un funerale, Enoch incontra Annabel (Mia Wasikowska), giovanissima e dolcissima, malata di cancro, con la quale raccoglie e condivide il senso profondo della mortalità. Ma i due ragazzi, alla fine innamorati l'uno dell'altra, vestono la morte con la vita, con i suoi colori, simboli e sorrisi. "Abbiamo così poco tempo per dire le cose che vogliamo dire. Abbiamo così poco tempo per tutto!" Sono le parole che Hiroshi sussurra a Enoch, un'affermazione che racchiude la grandiosità della vita e della morte. "L'amore che resta" ruota intorno alla performance straordinaria di due attori in stato di grazia, Henry Hopper e Mia Wasikowska, che consacrano sull'altare della morte il loro amore. Una storia che si veste di un proprio fascino e suggestione formale, in cui i protagonisti si muovono come su un palcoscenico prospettico, uniti in un'avventura dal sapore dolce di baci appassionati, beffeggiando con euforia l'alito della morte. Enoch è comunque invaso dalla bellissima sensazione che lo lega ad Annabel, ed è scosso da un consapevole ed incontrollabile richiamo alla vita. Si ribella al destino che lo priverà di quell'amore. Un circuito che si spezza, che lacera quel pensiero fisso della morte come forma catartica, che il ragazzo elabora in quelle forme di cordoglio a lui completamente estranee. Gus Van Sant mette in scena la deprivazione dalla vita e da affetti importanti, e senza eccessi e mai oltrepassare la misura, racconta in modo speculare la bellezza della vita stessa, attraverso momenti espressivi di grande suggestione figurativa e di sottile fascino estetico. Enoch alla fine affida ad Annabel l'eternità dell'essenza della vita racchiusa nel ricordo e nel significato indimenticabile dei loro momenti d'amore. Con Annabel parte, per il grande viaggio, anche Hiroshi, l'amico dell'aldilà e dei dolorosi vuoti emotivi, lasciando a Enoch, la consolabile e pacata dimensione del ricordo, nell'affermazione della vita stessa. (La recensione del film "L'amore che resta" è di Rosalinda Gaudiano)
- Vai all'archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "L'amore che resta":




Torna ai contenuti | Torna al menu