La recensione del film King Arthur

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KING ARTHUR - RECENSIONE

King Arthur recensione
Recensione

di A. Bizzotto
[King Arthur recensione] - Fantasy in salsa rurale che fa a pezzi la leggenda bretone e la ri-cucina rendendola pop, con venature (non musicali) rock, ma quasi mai con eleganza. Guy Ritchie si fa prendere la mano nella rivisitazione contemporanea di un mito trasformando la Londinium medioevale in un set da videogame e Camelot in un labirintico maniero di computer grafica. Il perfido zio Jude Law ha rovesciato e ucciso l'amato padre Eric Bana (ma Shakespeare e Amleto restano lontani): per questo il giovane Artù, messo in salvo last-second, è cresciuto in un bordello della capitale da ricco malavitoso ante litteram, seppur dal cuore generoso con i più deboli. La sua vera identità viene a galla quando riesce a estrarre Excalibur dalla famosa roccia. Perché lo zio, che ora siede sul trono, obbliga tutti gli uomini della sua generazione a fare un tentativo: sa che solo Artù può estrarla. Per questo vuole trovarlo e farlo fuori. Grazie all'amicizia di una maga e a un esercito di dissidenti rifugiatisi tra monti e foreste (anche Robin Hood è lontano) troverà la sua strada verso la corona e il ristabilimento di un ordine legittimo. È probabilmente meglio soprassedere sulla consistenza artistica di un cast quasi interamente sacrificato a una sceneggiatura rigida e farraginosa. Solo Jude Law riesce a ricreare la vera complessità di un personaggio: i suoi tormenti sono spesso un eccesso, ma il ritratto del villain è a fuoco e ben scolpito. Poco resta a salvare questo nuovo King Arthur dall'effetto di un livido déjà vu. Il gioco vertiginoso che incastra rapidi flash-back e flash-forward di Ritchie mostra la corda. Non perché troppo usato – di suo resta efficace e il regista, qui, non ne abusa. Piuttosto perché si svuota di senso fra l'ironia forzata e il machismo non esibito ma strisciante di un film in cui anche i chiaroscuri (in primis i tormenti di Artù nel suo cammino verso il trono) sono artefatti, e le donne pedine, o vittime da sacrificare, o taciturne prive di fascino, o viscide creature repellenti (le mostruose variazioni sul tema delle sirene che aiutano il mefistofelico Law, forse l'unico ingrediente dark davvero efficace). Anche per questo le contaminazioni antico-moderno fanno acqua. Al regista poco importa indagare le relazioni personali, le cause dietro le azioni che dovrebbero essere il motore di un moderno action movie fatto di spade anziché di mitra e pistole. Così King Arthur – Il potere della spada finisce per nascondere la sua vuotezza dietro virtuosistiche trovate di regia, lasciandosi dietro uno insinuante senso di noia. Annacquando con un'epica insapore quel ritmo scoppiettante che Ritchie aveva inserito in Operazione U.N.C.L.E. (in cui Henry Cavill e Armie Hammer si prestavano a raffinate auto-ironie) e che aveva reso celebri i due Sherlock Holmes. (La recensione del film "King Arthur" è di Alessandro Bizzotto)
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