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IERI OGGI E...

JULES E JIM di Francois Truffaut

di Lucio De Candia
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
Montparnasse, inizio del ventesimo secolo. Jules, francese e Jim, austriaco, sono due amici inseparabili uniti dagli stessi interessi e da una forte sensibilità artistica. Finiscono per innamorarsi della stessa donna, Catherine, con cui inizieranno un triangolo amoroso. I sentimenti incostanti di lei metteranno alla prova la loro amicizia fino a risvolti estremi e imprevisti… Ispirato all'omonimo romanzo di Henri Pierre Roché, il terzo lungometraggio di Francois Truffaut è da molti considerato il manifesto della "Nouvelle Vague", movimento nato in Francia negli anni '50 come alternativa emergente al cinema classico, ritenuto troppo formale e stereotipato, sia nello stile che nei contenuti. Capolavoro di raffinatezza ed eleganza, il film riesce a vivere di poesia e leggerezza nonostante tocchi i temi cruciali dell'esistenza umana, a cui sono legati i sentimenti più intensi e dolenti: l'amicizia, l'amore, la guerra, la morte. Una voce narrante molto presente accompagna gli eventi con equilibrio, scorre su un filo sottile e precario senza mai imporsi sugli stessi; riesce anzi a dare il ritmo ad una storia in cui i dialoghi sono essenziali, tanto quanto la gestualità e gli sguardi. Jean Moreau incanta, ipnotizza i due inseparabili amici ma anche noi, trascinandoci in un vortice di passionalità e tenerezza; è magistrale nell'esprimere un amore libero e anarchico, incostante, cangiante. Jules e Jim è infatti un inno alla vita e all'amicizia, ma anche all'amore, quello vero, quello capace di superare i vincoli di una società ipocrita e di fluire come pura energia. Non a caso il film fu ostentato dalla chiesa cattolica che cercò di bloccarne la distribuzione. C'è poi, (e soprattutto) l'amicizia, si diceva, intesa come legame di affetto, come confronto e occasione di conoscersi più a fondo. Un sentimento capace di andare oltre le atrocità di una guerra inspiegabile ma inevitabile, cieca nello schierare l'uno contro l'altro due vite che, in fondo, appartengono realmente solo ad un unico grande insieme, quello del genere umano. L'opera terza del maestro francese si colloca in un periodo storico inebriante, a cavallo tra il dopoguerra e i successivi movimenti per l'emancipazione individuale. Anticipa di fatto il '68 e le stesse lotte oltranziste del femminismo. A distanza di decenni riesce a mantenere intatta la sua forza e il suo messaggio trascendendo qualsiasi senso di appartenenza o rivendicazione sociale, proprio perché scruta dentro l'essere e le sue più intime manifestazioni. Il film è infatti un inno alla natura, alla spontaneità delle passioni contro le barbarie della civilizzazione, narrando di un progressivo allontanamento dalle imposizioni, di vicende umane che cercano la loro collocazione in uno spazio rurale idealizzato, immune dallo smog esistenziale dell'urbanizzazione borghese. Infine la musica, anch'essa molto presente, delicata e sensuale (memorabile la Moreau alla chitarra in "Le tourbillon"), ma se necessario anche strumento rappresentativo allorquando, con la "marsigliese" che accompagna le immagini di guerra, simboleggia la nuova ondata di cineasti che condizionerà la filmografia europea dei decenni successivi. In definitiva un'opera di valore mondiale, testimonianza di un fermento culturale che non c'è più.



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