di R. Gaudiano
[
Ippocrate recensione] - Thomas Lilti sin da piccolo aveva l'aspirazione di diventare regista. E ci è riuscito. "Ippocrate" è il suo secondo lungometraggio. Ma Thomas Lilti è anche medico e questo suo "Ippocrate" non è altro che un racconto molto realista sul giovane Benjamin (Vincent Lacoste), tirocinante medico nello stesso ospedale parigino del padre, prof. Barois (Jacques Gamblin), che intraprende il suo primo giorno in corsia con baldanza e forse anche supponenza. Benjamin si rende conto molto presto che il mestiere del medico, come dice il suo collega Abdel (Reda Kateb), non è un mestiere ma "una maledizione". "Ippocrate" è ben lontano dalle serie televisive sui dottori perfettini, sugli ospedali eccezionali dove i malati vengono non solo curati, ma coccolati. Thomas Lilti offre una trattazione molto diversa di ciò che può essere lo stereotipo televisivo di una corsia ospedaliera. In "Ippocrate" scarseggia tutto, dai posti letto alle medicine di banco, all'ovatta, alle garze e spesso sono fuori uso apparecchiature importanti, come quello per l'ECG. Per non parlare della scarsità di personale infermieristico, per cui chi lavora è sottoposto a turni disumani. Ma è il ruolo del medico che Lilti mette sotto i riflettori. E il giovane Benjamin, all'inizio ben lontano dalle responsabilità che il suo ruolo di medico comporta, acquista consapevolezza quando muore un primo paziente per un errore diagnostico essendo fuori uso la macchina per l'ECG e quando, per porre fine alle inutili sofferenze di un'anziana donna ormai in fin di vita, viene deciso insieme ai parenti stretti della donna, di non proseguire con alcun accanimento terapeutico e lasciar morire la paziente con dignità. Tra turni di guardia e risate goliardiche nei momenti di pausa del personale medico, Benjamin viene messo duramente alla prova per ciò che concerne i rapporti con i suoi colleghi, in particolare con Abdel, che difenderà a spada tratta contro la commissione medica disciplinare che chiede la sua espulsione per aver preso fuori posto una decisione medica non autorizzata. Lilti gioca molto bene nella manipolazione soggettiva delle inquadrature e prediligendo la mdp a spalla usa spesso la soggettività come strumento narrativo. Lo fa con lo stesso Benjamin, con Abdel e quando riprende in primissimo piano tutto il personale paramedico in una tumultuosa assemblea dimostrativa. Il cineasta-medico riesce così a cogliere nel volto di Benjamin e di chiunque altro sia stretto nel primissimo piano, quell'indicatore di un processo di mutazione, di sopraffazione ed anche di rabbia, affidandosi ad una corretta soggettività stilistica e, tutto sommato, riuscendo anche a mantenere una certa dimensione poetica. Ed è qui che il film riesce nel racconto di una dimensione umana ad esprimere molto bene una soggettività psicologica, sentimentale e soprattutto l'importante responsabilità che il ruolo di medico richiede, sempre.
(La recensione del film "
Ippocrate" è di
Rosalinda Gaudiano)
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