La recensione del film In nome di mia figlia

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IN NOME DI MIA FIGLIA - RECENSIONE

In nome di mia figlia recensione
Recensione

di E. Torsiello
[In nome di mia figlia recensione] - Non è difficile. Basta accendere la televisione per ritrovarsi immersi da un'ondata di notizie che vogliono donne, ragazze, se non bambine, cadere vittime della cruda e immotivata violenza di coloro che promettevano di voler loro bene e di proteggerle sempre. Sono donne uccise da mariti, amici, fidanzati, padri o addirittura patrigni per chissà quale motivo, chissà per quale colpa. E a chi quelle donne, ragazze o bambine voleva davvero bene, comincia a vagare nelle stanze così luminose, eppure così oscure delle sale giudiziarie, alla ricerca di un bagliore di giustizia che possa illuminare l'abisso di sofferenza in cui sono stati scaraventati. Al centro de In nome di mia figlia vi è proprio questo: la disperata lotta, sotto forma di odissea giuridica, affrontata da un padre coraggio (André Bamberki, interpretato da uno straordinario Daniel Auteuil) affinché la giustizia francese faccia il suo corso e dichiari colpevole il dottor Dieter Krombach (Sebastian Koch), patrigno e omicida della figlia Kalinka. Il regista Vincent Garenq racconta con eleganza e sensibilità un tema di per sé delicato, riuscendo a non incorrere nel fin troppo facile rischio di cadere nel sentimentalismo ostentato. Garenq, in un gioco di continue analessi, si limita a seguire e riprendere i punti salienti della vita di André Bamberki, concentrandosi sul tortuoso cammino lungo 30 anni che ha condotto il protagonista a vedere realizzato il suo sogno di giustizia per la figlia Kalinka, senza addentrandosi troppo nella storia. Lascia, cioè, che gli eventi si raccontino da soli, senza alcun tipo di quel voyerismo morboso a noi, spettatori fagocitanti immagini in movimento su un qualsiasi tipo di schermo, fin troppo famigliare. Ne è un esempio di ciò l'oggettività e il modo quasi rispettoso con cui il regista immortala sul grande schermo il dolore di Andrè Bamberki alla notizia della morte di sua figlia. Nessun movimento di macchina atto a sottolineare il dramma che questo padre deve imparare ad affrontare; nessun azzardo di ripresa volto a demarcare il proprio stile o la propria visione registica. Garenq lascia parlare le immagini, ma soprattutto, lascia che il proprio occhio registico si faccia da parte, affinché il talento attoriale di Daniel Auteuil venga fuori. Scendere a patti con questi tipi di personaggi e con le storie di cui essi sono protagonisti, può voler dire cadere facilmente nel patetismo, eccedendo la propria interpretazione con una carica drammatica tale da rasentare il grottesco e il ridicolo. Auteuil è stato capace di entrare a fondo nella psicologia del personaggio, lasciando che di esso venisse fuori soprattutto la coerenza e la solida volontà di ottenere giustizia. Alla notizia che la giovane vita a cui hai contribuito a far venire la luce, ti viene di colpo sottratta senza alcun apparente motivo valido, il corpo di Auteuil/Bamberki trema e reagisce al dolore cercadìndo di eliminare la sofferenza attraverso le lacrime, mentre la mente vaga senza fatica alla ricerca di una motivazione per darsi pace. Poi capita che seppur sommariamente un'autopsia tracci la via della verità e ad Andrè non resta che iniziare a percorrerla, vagando come Ulisse per trent'anni nei mari impetuosi della giustizia francese, per ritornare un giorno a raggiungere quell'Itaca personale fatta di pace ed espiazione del dolore e di quel senso di colpa per non aver fatto abbastanza per la figlia. La sofferenza che lo spettatore perepisce sembra essere reale e quasi tangibile, mai eccessivamente ostentata. In nome di mia figlia dimostra ancora una volta l'elegante tatto con cui i francesi si avvicinano e raccontano temi così attuali e universali. Senza arrivare all'urlo disperato di Sean Penn in Mystic River, anche il dolore sommesso di Daniel Auteuil ci colpisce con la medesima onda d'urto, scuotendoci e commovendoci. Ci immedesimiamo facilmente in lui, condividiamo il suo stesso lancinante dolore; lo supportiamo al di là di scelte non sempre condivisibili e chiediamo insieme a lui giustizia in nome di sua figlia. (La recensione del film "In nome di mia figlia" è di Elisa Torsiello)
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