di G. Sciarra
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Il violinista del diavolo recensione] - Non sempre il cinema ha reso giustizia ai musicisti, il più delle volte maltrattati da sceneggiature superficiali. Il Jim Morrison di Oliver Stone venne a suo tempo criticato perché esplorava aspetti del leader dei Doors in maniera stereotipata, dando più rilevanza al personaggio che all' essere umano. Rifarsi unicamente al cliché del genio maledetto, senza approfondire con la dovuta sensibilità vite tormentate, rovinate dalla fama e dai soldi è una trappola in cui sono caduti molti registi. Difficilmente si scorge la traccia della disperazione, della rabbia, del dolore in figure abbozzate alla rinfusa che si rifanno in maniera filologica alle fonti, ma che non osano andare oltre. Il risultato è che lo spettatore si trova a veder ridotto un grande artista a fenomeno da baraccone, senza provare alcun tipo di empatia per lui e i suoi capricci indecifrabili; al massimo solo irrisione e curiosità voyeuristica. Il violinista del diavolo appellativo con cui veniva apostrofato Nicolò Paganini – e che rimanda a suo malgrado ai titoli di b-movie trash anni 80 – vuole reinterpretarla la vita del controverso musicista italiano in chiave romantica, attingendo a piene mani al mito del Faust di Goethe e a quello delle rockstar maledette alla Jimi Hendrix. Al di là della sceneggiatura scritta dallo stesso regista Bernard Rose, piena di luoghi comuni e di battute non proprio memorabili, ci riesce difficile concepire Paganini come una rockstar del XX secolo. Sicuramente sarà stata la prima rockstar del mondo della musica, ma credo che tra i due secoli che separano il chitarrista di Seattle e il violinista genovese il modo d'intendere un grande artista fosse comunque molto differente. Il musicista genovese era un tombeur de femmes, amante della bella vita, pieno di difetti e fragilità, le donne cadevano ai suoi piedi, la stampa lo osannava e demonizzava allo stesso tempo, ma da qui a rappresentarlo come il Robbie Williams della situazione ( più che come un Hendrix) ce ne vuole. Il ritmo e la storia a metà strada tra un videoclip e una fiction mediocre, stile il Peccato e la vergogna, non aiutano di certo. David Garret, musicista per davvero, che interpreta ( si fa per dire) Paganini ammiccando il più delle volte alla macchina da presa con pose plastiche, risulta troppo belloccio e poco espressivo come attore. Gli altri personaggi ( Charlotte Watson, John Watson, Veronica Ferres) ossia Cenerentola, il padre tonto ma tanto buono che vuole lucrare su Paganini e la matrigna, vanno bene per le favole ( questa è una favola? Una favola su Paganini? Non è chiaro. ) La ciliegina sulla torta resta però il presunto Mefistofele, Urbani, il manager del violinista italiano che dovrebbe incarnare l'opportunismo e l'ambiguità dell'essere umano, e che invece non appare né fascinoso né malvagio. La colpa non è di Jarred Harris che è un ottimo attore. Le battute imbarazzanti sull'aldilà e il successo, trasformano inevitabilmente il personaggio in una macchietta del male, ridicolizzandolo agli occhi dello spettatore. La figura di Urbani nella vita di Paganini fu effettivamente mefistofelica. Il regista avrebbe potuto giocarsi un'ottima carta, ispirandosi magari ad altre figure letterarie faustiane più vicine a Urbani, come ad esempio Jacques Collin, il finto prete mentore di Splendori e Miserie di una cortigiana di Balzac. Viene da chiedersi come sia possibile che Rose abbia delineato dei personaggi con una tale quantità di sciocchezze. E' sconfortante vedere un film senza ombra di passione e idee. Evidentemente non c'era l'intensione di raccontare la vita di un'artista straordinario come Nicolò Paganini ma solo di vendere al grande pubblico l'ennesimo brutto film. Da segnalare un cameo di Helmut Berger che da Ludwing di Visconti ( interpretato più di trent'anni fa) e passato a interpretare un'altra biografia di un musicista, questa volta non altrettanto eccelsa.
(La recensione del film "
Il violinista del diavolo" è di
Giuseppe Sciarra)
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