[
Il Viaggio recensione] - Immagina due avversari politici costretti ad un viaggio in macchina di un'ora, da soli, seduti fianco a fianco. Immagina non due avversari politici qualunque (non Brunetta e Alfano) ma due avversari veri, due acerrimi nemici, due che hanno combattuto letteralmente su barricate opposte. Immagina da un lato il reverendo Ian Paysley, leader ultraconservatore del partito unionista e dall'altro Martin McGuinnes, ex Capo di Stato Maggiore dell'IRA, rappresentante di spicco del Sin Féin, che che ormai in là con gli anni, si ritrovano chiusi in quell'auto e, complice la monotonia del viaggio, cominciano a discutere. Idea basilare, essenziale, potenzialmente vincente e avvincente: l'intera storia di Irlanda condensata nell'abitacolo di un'auto. Se non fosse che il regista Nick Hamm, nato a Belfast e conosciuto finora al massimo per Martha da legare, non certo per l'impegno politico, a dispetto della linearità della trama, ci costruisca attorno una messa in scena improbabile e farsesca che ipotizza dietro all'incontro dei due protagonisti una regia occulta orchestrata da Tony Blair (al fine di spingerli a stringere un trattato di pace) il quale, insieme al gran capo del MI5 (il povero John Hurt, in una delle sue ultime apparizioni) assiste per tutto il tempo all'evolversi della discussione tramite microcamere, fremendo e tifando come se stesse guardando una puntata di Beautiful. "Scommetto che il 50% di quello che abbiamo inventato è successo realmente", ha affermato il regista. Come ha scritto qualcuno però, non serve avere una storia vera, serve trarre da una storia vera, una vera storia. Laddove infatti ci si aspetterebbe un dibattito serrato, uno scontro dialettico, un crescendo di oratoria politica che, scevro da propaganda ma fatto al contrario di argomentazioni, accuse, confutazioni e ammissioni, possa indurre i due contendenti a trovare un terreno comune dove esercitare l'arte del compromesso e dove, guardandosi in faccia, potersi, anche solo per un attimo, riconoscere, Hamm perde tempo in inutili panoramiche dall'alto della macchina e ad escogitare inverosimili pantomime - sempre manovrate da Blair - per allungare il percorso. Peccato che per 4/5 di film si assista ad una singhiozzante conversazione unilaterale fra sordi e solo nel finale si arrivi, d'amblée, là dove si voleva arrivare, senza che nemmeno ci venga spiegato perchè il tutto deve necessariamente succedere durante il tragitto in auto, quando dopo li attende un altro viaggio, su un aereo privato. Per non sprecare l'occasione sarebbero serviti ben altri, più consapevoli, sceneggiatori e due attori in stato di grazia, cosa che purtroppo non si può dire dei due protagonisti: Colm Meaney si limita ad essere irlandese mentre Timothy Spall non fa altro che recuperare la performance tutta grugni e grugniti che già detestammo in Turner, rinnovando così il nostro senso di fastidio.
(La recensione del film "
Il Viaggio" è di
Mirko Nottoli)
- Vai all'
archivio delle recensioni
- Lascia un commento, la critica o la tua recensione del film "
Il Viaggio":