La recensione del film Gloria

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IL TERZO TEMPO - RECENSIONE

Il terzo tempo recensione
Recensione

di Paolo Ottomano
[Il terzo tempo recensione] - L'ultima opera del regista Cileno, Sebastian Lelio, porta il nome della protagonista, Gloria, cui presta volto, corpo e anima, l'intensa interpretazione della connazionale Paulina Garcia, Orso d'argento per la migliore attrice alla Berlinale 2013. Ma si tratta di ben più di un ritratto di donna, dell'esplorazione del suo mondo interiore, fragile ma ardimentoso, in rapporto col mondo esterno e le sue convenzioni, i suoi compromessi sociali e sentimentali. Una donna, sulla soglia dei sessant'anni, che vive la sua età e il suo tempo, soprattutto attraversa con la delicata leggerezza di un raggio di sole l'atmosfera dei luoghi. Gloria, single, ormai da lungo tempo divorziata, economicamente indipendente, padrona della sua spensieratezza, si muove, infatti, sullo sfondo di una rifiorita Santiago del Cile, capitale che il regista Pablo Larrain (tra i produttori di "Gloria") ha narrato nel suo "No. I giorni dell'arcobaleno", nel momento cruciale della decadenza del regime di Pinochet, all'insegna del promo referendario "Chile l'alegria ya viene". Incarnando il retaggio del gioioso spirito di emancipazione di una intera nazione (che oggi a tavola piuttosto dibatte di social network e crisi generazionale) Gloria canta la libertà e l'amore, mentre la metropoli scorre veloce fuori dall'auto o si lascia ammirare dagli alti piani di un grattacielo; entrambe con dignità si fanno largo tra le possibilità della vita, incalzando la promessa di un futuro ancora tutto da inventare. Eppure "Gloria" è senza dubbio l'appuntamento non più procrastinabile con i conti e con le somme da tirare, che ad ogni importante svolta ci si ritrova a compiere. Il raccolto di cosa e come si è seminato. Avendo seminato rigorosamente secondo i principi di autonomia e ampiezza di vedute, Gloria si ritrova tra le mani tanto potenziale d'amore ancora inespresso, un valore inestimabile che non riesce a liberare con i figli (adulti, autosufficienti, risucchiati nella propria privacy, a cui Gloria, da madre, ha un accesso discreto e limitato) e che non comprometterebbe mai per l'avventura di una notte. Nelle sale da ballo che frequenta, discobar per un target di gente adulta, Gloria esprime il proprio slancio di piacere e divertimento e, travolta dalla musica, dal ballo e dall'alcool, elegante e sorridente, scruta gli sguardi desideranti altrui. Quando incrocia gli occhi di Rodolfo, signore distinto ma più attempato, qualcosa si accende, scatta la scintilla di un fuoco, ormai quasi solo vagheggiato. L'abbraccio immediato, passionale e romantico, dei loro corpi nudi, fuori forma, appesantiti e svigoriti dall'età, è subito promessa e impegno, investimento di aspettative reciproche, che presto, sotto la rivelazione di un netto divario esistenziale, si dissolveranno tra contraddizioni e inconciliabilità. Perché Gloria è una donna consapevole dello spessore conseguito col tempo, che in un nuovo amore cerca la completezza e la profondità, l'appagamento totale ed esclusivo senza riserve,finalmente al riparo dall'ingenuità e dalle illusioni della gioventù. Di contro Rodolfo rappresenta piuttosto il risultato di un percorso opposto di riconquista di sé: separatosi da poco e a fatica dalla moglie, ha creduto di poter dare un taglio netto alla sua vita di insoddisfazioni, sottoponendosi ad una gastroplastica, intervento che avrebbe manifestato immediatamente l'immagine di un ritrovato benessere psicofisico, la reintegrazione superficiale e fittizia nella leggerezza della vita. La bolla di ritrovata giovinezza in cui Rodolfo cerca di avvolgere Gloria (le camere d'hotel, i brividi degli sport estremi, le poesie dal registro infantile) scoppia sotto l'inconsistenza della sua fermezza individuale e l'incapacità di dismettere i panni di padre, succube dei ricatti morali delle figlie morbose ed egoiste. La separazione infelice degli amanti per l'ennesima fuga dell'uno e l'ennesimo abbandono dell'altra, mettono Gloria dinanzi alla necessità di far luce, una volta per tutte, sulla confusione di ideali artificiali e valori autentici, in cui indistintamente ha riposto progetti e speranze e che, più di sostanze stupefacenti, alterano la sua percezione della realtà. La bellezza del film si realizza al massimo nell'arguzia poetica di concentrare questa ricognizione introspettiva del personaggio attraverso sequenze governate dalla musica. Ad una festa in casa di amici Gloria accompagna sottovoce il duetto che intona la celebre bossa nova "Agua de Março": sulle note cadenzate, ma tenui della melodia, i versi sparsi elencano gradi e fasi di vita, in cui ci si domanda tra le righe cos'è che segna la fine di una stagione, cos'è marca la solitudine. Se Gloria giungerà infine a celebrare se stessa, scatenandosi nella nota hit omonima di Umberto Tozzi, sarà perché, affrontando di petto i segni del tempo che avanza (le grinze della pelle, come il naturale e progressivo affievolirsi della vista), l'imposizione troppo razionale del distacco filale, all'interno della più grande messa in scena della famiglia allargata e realizzata, ritroverà intatta l'onesta stima di se stessa, fortuna e risorsa inesauribile. Il coraggio di esporsi e rivalersi con stile, nonostante tutto, come un pavone che mostra la ruota. Impossibile non citare l'intramontabile saggezza di un altro "glorioso" nome di donna, Anna Magnani: "L'importante è non avere le rughe al cervello. Quelle in faccia, prima o poi, ti aspettano al varco". (La recensione del film "Il terzo tempo" è di Paolo Ottomano)
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