Il Silenzio degli Innocenti di Jonathan Demme

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IERI OGGI E...

IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI

Il silenzio degli innocenti Recensione

di Melissa Migliaccio
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
Strazianti belati di agnellini indifesi, simbolo di innocenza e fragilità, presagio sinistro di morte. E' questa la metafora del titolo ''Il silenzio degli innocenti'', film esemplare del 1991, diretto da Jonathan Demme e basato sul romanzo di Thomas Harris. Questi agnelli rappresentano tutte quelle donne vittime dell'assassino seriale conosciuto come ''Buffalo Bill'', su cui si concentrerà l'indagine di Clarice Starling, recluta dell'FBI e giovane eroina interpretata dalla nota Jodie Foster, la quale riuscirà a risolvere l'enigma grazie al supporto del detenuto Hannibal Lecter, figura intrigante e maniacale, interpretata in modo eccelso da Anthony Hopkins. E' proprio tra questi due che si instaura un legame ambiguo, intrinseco di complicità e intesa, ma allo stesso tempo di esitazione e diffidenza. Da un lato una donna timida e modesta alla ricerca della verità, ma pronta a giocare tutta se stessa per risolvere un caso, dall'altro un uomo enigmatico, cannibale, ex psichiatra dalla mente geniale e sofisticata. Hannibal è una figura più che complessa, che custodisce in sè una duplice anima: in una regnano bestialità, istinto e rabbia, che lo portano all'odio smodato verso l'umanità e alla frustrazione interiore, nell'altra, sensibilità e raffinatezza, che trasmette attraverso l'arte, ma anche in un equivoco senso di protezione nei confronti di Clarice. Egli la stima, ammira la sua purezza, la serietà, la caparbietà, ma soprattuto il rispetto che gli porta, al contrario del dottor Chilton, il quale riserva nei confronti del Lecter solo tormenti e umiliazioni. La pellicola si snoda in una tensione crescente ritmata dal ''quid pro quo'', secondo il quale la temeraria agente si sottopone alle folli sedute d'analisi del dottor Hannibal per guadagnare in cambio tutti quei preziosi indizi che ricomporrà come tasselli. ''Il desiderio nasce da quello che osserviamo ogni giorno'', asserisce Lecter. E questa sarà la chiave del caso. Jame Gumb, noto come Buffalo Bill, non fa altro che osservare, bramare e attirare le sue vittime per poi scuoiarle. ''Occhi azzurri, capelli biondi, alto 1 metro e 85, robusto, ottima forza fisica, età trentadue anni, ottimi pure loro'', così viene descritto l'omicida, personalità meno acuta ma sicuramente pittoresca e molto più debole di quanto sembri: cosa si nasconde dietro un carnefice transessuale? Sicuramente l'invidia e il possesso della femminilità, ma anche l'impossibilità di mantenere legami affettivi con l'altro. Vive infatti in completo isolamento, totalmente immerso nel suo covo, che si rivelerà la sua stessa trappola. Le falene che alleva, specie particolare conosciuta anche come ''sfinge testa di morto'', rappresentano la ricerca della metamorfosi, il cambiamento profondo del suo essere e della sua fisicità. Narciso ed esibizionista, la sola forma di attenzione che non sia rivolta a se stesso, Jame la pone nei riguardi della sua barboncina Precious, l'unica in grado di accendergli quel barlume di umanità ed empatia verso un altro essere. Luci soffuse, fastosità di oggetti in contrasto con l'ambiente dimesso e caotico, vestiti e accessori in pelle, manichini, una macchina da cucito, laboratori, ripetute raffigurazioni di farfalle ed è così che siamo trasportati nella dimora dell'omicida. Sulle note di ''Goodby Horses'', con un mantello sgargiante Gumb, ottimamente interpretato da Ted Levine, danza e canta nudo di fronte allo specchio compiacendosi della sensualità del suo corpo. La cella di Hannibal, la stanza della vittima Catherine, il pozzo, contribuiscono a ricreare uno scenario claustrofobico, che raggiunge il suo apice nel covo del killer: è un attimo che le luci si spengono e la nostra protagonista rimane intrappolata nelle reti dell'insidia. Non c'è più spazio per la visibilità, ma solo per l'udito: un respiro affannato e lo scatto del cane della pistola. Questo film esalta il contrasto continuo tra il bene e il male, tra la depravazione e la giustizia, ma è anche un inno alla libertà racchiusa nel desiderio di evasione della vittima quanto in quello di Hannibal. E' la crescita personale di Clarice, ma anche la scoperta del labile confine tra la genialità e la pazzia. Cosa spinge un uomo a uccidere? Non è forse vero che dietro il male si cela altro male? Questi sono interrogativi che la pellicola ci pone nel momento in cui delinea le psicologie instabili degli assassini, ancora meglio descritte nel romanzo. Le scene splatter sono definite con grande accuratezza e grandiosità, come nell'episodio in cui il cannibale massacra, profana e appende il corpo del sorvegliante prima di fuggire. L'intrigo, gli attimi di tensione, i dialoghi forbiti, i colpi di scena, lo scambio dei corpi e il mascheramento di Hannibal così come le sue argute espressioni, contribuiscono a originare un film ricco di perspicacia, dove nulla viene ceduto al caso, ma solo all'ingegnosità. Gli agnelli avranno smesso di belare? Un crescente vacillare tra l'incertezza e la convinzione, tra il rischio e la destrezza non possono altro che giungere a un lieto fine. Del resto nell'incipit, la faticosa e lunga corsa di Clarice ci fa presagire il percorso accidentato che dovrà attraversare prima di poter giungere alla gloria. Vincitore di cinque premi oscar, non possiamo escludere una pellicola di tale spessore dal repertorio dei migliori film di tutti i tempi. Lo è stato IERI, lo è OGGI, e lo sarà DOMANI.


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