Il settimo sigillo di Ingmar Bergman

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IERI OGGI E...

IL SETTIMO SIGILLO di Ingmar Bergman

Il settimo sigillo Recensione

di Antonello Océ
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.

La vicenda è nota. Giunti dalle estremità della terra al termine di una lunga crociata, il cavaliere Antonius Block e il suo fido scudiero John attraversano le lande desolate di un Medioevo dilaniato da pestilenze, sconforto e miseria. Agli inizi del suo pellegrinaggio Block si imbatte nella Morte, improvvisa ma non inattesa, che gli concede di rinviare la sua ora fatale in favore di una partita a scacchi. La partita si svolge a più riprese durante le quali i nostri due protagonisti, di indole e temperamento antitetici, riprendono la strada del castello di Block incontrando lungo il cammino una compagine di caratteri eterogenei e profondamente umani con cui stringere una sincera amicizia e accompagnarsi fino alla fine del viaggio. Il protagonista Antonius durante tutta l'opera è pervaso, dilaniato da un profondo senso di inquietudine, di angoscia, un horror vacui spirituale che è il tema ricorrente di tutta l'opera di Bergman e che forse trova qui la sua più compiuta verbalizzazione. ("Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?".) Block non è l'unico a interrogarsi sulla morte e infatti ognuno dei membri della composita carovana simboleggia un diverso rapporto con il mondo delle cose terrene e ultraterrene. Ma Bergman favorendo con mestiere la prospettiva di Block empatizza con la sua ricerca spirituale: chi sono io? Qual è il senso della vita? E della fede? Qual è il senso di tutta questa sofferenza, questo degrado materiale fatto di macerie, simulacri di uomini e cadaveri di cose, che si rispecchia nel mio caos interiore e a cui non riesco a dare risposta? Scorgendo la morte Block percepisce senza riserve l'urgenza della sua profonda crisi morale e affronta il suo viaggio interiore alla ricerca di un senso, una salvezza o forse semplicemente di pace. Ma la formula di Bergman non ha nulla di narcisista, o manicheo. Non vi sono buoni o cattivi, vittime e carnefici, tesi e antitesi. Anche qui, come nel resto della sua opera, uno specchio ricompone gli opposti ma non è che un'illusione, un sortilegio, un mantice guasto che inganna, seduce, e illude di poter rivelare il cuore delle cose, ma che in realtà sostituisce l'immagine con l'assenza dell'oggetto. Facendosi metafora e insieme sineddoche del discorso meta-cinematografico sulla liceità dello sguardo e i suoi codici ingannevoli. ("Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura"). Il cuore delle cose. Il conflitto cuore e intelletto, fede e ragione, è senz'altro il nucleo drammatico che anima il racconto. Esplicitandosi plasticamente nel dualismo dei due cavalieri erranti, Block, il cerebrale, introspettivo, anaffettivo e distaccato pensatore, e l'irruento John, antitesi carnale e agnostica, disincantato, sprezzante e vulcanico compagno, che non si nutre di fede ma dei più triviali e irrisolti paradossi della carne e dello spirito. I dilemmi e le pulsioni. La carne e lo spirito. Il sacro e il profano. Di questo continuo rincorrersi degli opposti, Block è il pessimismo della ragione, il vettore delle mille domande, e non sarà mai abbastanza acclamato il guizzo di genio della partita a scacchi con la morte e il senso della sua presenza. Perché Block gioca a scacchi con la morte? Per prendere tempo? Per salvarsi? Per ingannarla? Men che mai. Block gioca con la Morte perché vuole interrogarla. Vuole approfittare della sua prossimità per trovare una risposta ai turbamenti che da sempre lo dilaniano, per scoprire i suoi segreti, accettando la sentenza ma non prima di aver trovato un senso, un riscatto, una Redenzione. Con una formula retorica davvero pregevole Bergman distilla una sintesi suprema e perfetta tra figura e funzione, tra naturale e sovrannaturale: il senso della vita non malgrado la morte ma proprio a causa di essa, o addirittura per mezzo di essa, confrontandosi e gareggiando con essa. Qual è il senso della vita se non tenere testa alla morte? Quanta grazia, quanto genio, quanto ardimento in questo pensiero. Quale trasporto di intrepido, fulmineo, amore nella memorabile sequenza in cima alla collina, quando un inatteso e tumultuoso slancio di emozione fa capolino dai dubbi e finalmente il travaglio si dilegua, lo specchio si dissolve è la sintesi suprema si risolve proprio nella coincidenza degli opposti. La fede di Antonius Block si sbarazza di ogni dogma o ideologia e si realizza nel più immanente e sinestetico dei modi, fecondata dalla forza della terra (nella fragranza acre della fragole selvatiche, nel gusto vellutato di una ciotola di latte) e dal senso di rinnovata comunione con il genere umano (il rituale del cibo, il ventre bianco del piccolo Mickael). Nella fede che non trascende ma attinge alla vita. La chiave di volta si spalanca allora in tutta la sua forza allo sguardo di Block e per osmosi al nostro: non è nelle risposte che risiede il senso delle domande ma nelle domande stesse. Tra una domanda e l'altra. Perché il cuore delle cose è lì sotto i tuo occhi. Non importa il cosa, non importa se quel qualcosa in cui credere è la salvezza del piccolo Mickael. Importa il quando. E importa il farsi trovare pronti. Perché la vita è quella cosa che ti capita mentre ti interroghi su che cos'è la vita. Non le si può attribuire un significato come fosse un costrutto, un teorema, o una mappa razionale di risposte coerenti. Perché essa è fatta di indizi, incognite, scarti, sensazioni, 'momenti lieti', incontri casuali, saette di luce tra le tenebre, ed è solo nelle smagliature di quell'enigma senza tempo che è la vita terrena che si può cogliere il senso della psiche e la pace dello spirito. Grazie alla morte si misura la vita. E grazie alla statura di opere come Il settimo Sigillo, insieme estetica, filosofica ed emozionale, si misura la grandezza della settima arte. Accadeva IERI, accade OGGI e accadrà senza dubbio DOMANI.


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