IL POSTO DELLE FRAGOLE di Ingmar Bergman
di Nicole Jallin
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi film del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per comprendere se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno prese in considerazione solo opere che all'epoca vennero reputate CAPOLAVORI per sviscerare, analizzandone il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali, o ETERNI, anche OGGI e DOMANI.
«Acclamato fin dagli anni Cinquanta come il regista che ha saputo portare il cinema ai massimi vertici della Settima Arte ». Così il critico cinematografico francese Jacques Mandelbaum apre il suo volume dei Cahiers du Cinéma dedicato a Ingmar Bergman. Un autore «complesso e difficile» che ha saputo portare sullo schermo il suo universo interiore, il suo disagio esistenziale, creando intorno ai (suoi) sogni la struttura portante del suo cinema. I motivi iconografici (lo specchio, il doppio, la maschera), gli accorgimenti stilistici (primi e primissimi piani, piani frontali, spazi chiusi), la riflessione sulla formazione dell'identità dell'Io e la messa in scena della memoria, del ricordo, dello sguardo, del tempo e dello spazio sono alcuni degli elementi su cui Bergman riflette attraverso la pellicola de Il Posto delle Fragole (Smultronstället, I. Bergman 1957). Partendo da queste considerazioni vogliamo proporre un lavoro di analisi focalizzandoci sulle sequenze significative in cui Bergman "mette in scena" il sogno, il ricordo, la memoria, l'irreale, ecc. che non si limiti alla ricerca di un dato documentato e concreto che conduca a un risultato certo e univoco. In questa sede ci volgeremo piuttosto alla comprensione e all'accettazione di una dimensione alquanto debole e fragile del reale, definita dalla possibilità dell'intrusione del fantastico, dell'irruzione dell'ir-reale o del sur-reale.
Lo speciale clima enunciativo e comunicativo che lega lo spettatore, l'autore e i personaggi a quell'ambiente vivo e magico dell'immaginario e del sogno, che caratterizza tutto il cinema bergmaniano, rende Il Posto delle fragole una vera e propria "fiaba in movimento".
Vivere come sognatori in una fiaba. Questa sembra essere la richiesta che fa Bergman al suo spettatore durante la visione del film. Gli occhi sfiorano le immagini e noi spettatori riviviamo le stesse sensazioni ed emozioni che tutti abbiamo provato da bambini quando, ascoltando la voce del narratore, ci sentivamo come per magia abitanti di quel mondo ovattato che è la fiaba. Di questa magia Bergman dipinge il protagonista Isak Borg. Infatti (paradossalmente) proprio attraverso l'anziano ed egoista dottore si svela la concezione bergmaniana dell'infanzia intesa come capacità di percepire e comprendere il fantastico e il meraviglioso al di là dei limiti del reale. Solo in tale condizione privilegiata è possibile cogliere pienamente il cinema del regista svedese.
La "fiaba" de Il Posto delle Fragole diventa poco per volta il confine tra mondo onirico e mondo reale che si alternano e dissolvono l'uno nell'altro riflettendosi, rendendosi "visibili" (in senso metacinematigrafico) attraverso la messa in scena di esperienze, sogni, ricordi irreali, dichiaratamente fittizi. Un mondo costruito sia a livello narrativo-diegetico (nella definizione della storia e soprattutto dei personaggi) che a livello estetico-stilistico; sia a livello scenografico che fotografico.
Dal punto di vista narrativo-diegetico notiamo come queste marche enunciative si svelino innanzitutto grazie alll'uso della tecnica mise en abyme . Pensiamo al ruolo di Isak Borg (lo vedremo meglio tra poco) che è certamente in primo luogo il protagonista del film di Bergman ma allo stesso tempo, su un diverso piano del racconto , è anche un narratore che racconta i propri sogni a se stesso e agli spettatori del film. È chiaro allora come la voce fuori campo di Borg non sia una semplice voce di commento al film, ma assuma quasi lo "spessore" di un vero e proprio personaggio o, per usare un'immagine cara a Bergman, un imbonitore di lanterna magica. Nella prima scena del film infatti vediamo l'anziano medico inquadrato di spalle mentre scrive e sentiamo la sua voce che interrompe il suono dell'orologio a pendolo. Una voce narrante (e nello stesso tempo una voce mentale) che raccontando direttamente allo spettatore la storia-fiaba diventa anche la sua "presa di coscienza" ricordandogli che quello a cui assiste è una narrazione nella narrazione, ovvero una «rievocazione verbale di un'esperienza vissuta in un tempo precedente a quello fissato in quel prologo» .
A livello estetico e stilistico invece è importante sottolineare come Bergman separi nettamente lo spazio in due grandi poli contrapposti: da un lato "il posto delle fragole", ovvero quel luogo lontano fatto di una natura libera e (quasi) incontaminata della provincia, illuminato dalla falsa apparenza della morale e della tradizione; dall'altro la città, la capitale dominata dalla confusione dei chiaroscuri, pervasa dall'irruenza dell'illusione e della finzione.
Presi per mano siamo calati poco per volta all'interno di un mondo in cui il tempo e lo spazio sono isolati e "distanti" dalla realtà. Ma tale "distanza" non va però confusa. Infatti se è vero che Bergman costruisce il suo cinema come una sorta di "protezione" dalla realtà e rifugio nell'immaginario, è anche vero che le angosce, i fantasmi del passato e le paure del futuro che vivono nell'animo umano sono ben presenti nel film. E su di essi siamo costantemente invitati dal cineasta a riflettere attraverso quella "presa di coscienza" alla quale accennavamo prima. Il "posto delle fragole" è in realtà il luogo senza spazio e tempo in cui l'essere umano fa i conti con se stesso, "intrufolandosi" in quella lieve e sottile discontinuità che separa sonno e veglia, materia e spirito, memoria e concretizzazione (talvolta tragica) del ricordo.
La rappresentazione di questo complesso mondo "sospeso" deriva da una concezione del tempo altrettanto complessa e articolata. Il tempo che talvolta è ordinato secondo la lineare ricostruzione del racconto, in altri momenti precipita, si "stacca" dal naturale scorrere della storia in una sorta di sospensione acronica che scompone la linearità cronologica degli eventi. Per comprendere meglio questo passaggio rievochiamo nuovamente le immagini oniriche del film. I sogni di Isak diventano delle "parentesi" spazio-temporali che ci allontanano dal racconto principale: il viaggio verso Lund viene interrotto dai viaggi mentali di Borg nel "posto delle fragole". È chiaro allora come la pratica di Bergman dimostri non solo la volontà di utilizzare il dispositivo cinematografico come mezzo attraverso cui lavorare il tempo, ma vi sia soprattutto la possibilità di sottoporre il cinema a una metamorfosi continua tramite l'acquisizione, la padronanza e la ri-significazione di strutture narrative convenzionali della rappresentazione dello spazio e del tempo.
Proprio attraverso il lavoro diretto sullo spazio (e gli spazi, reali o immaginari) e sul corpo dell'attore Bergman perviene a nuove e diverse possibilità di rappresentazione del tempo: esso infatti assume una concretezza fisica, emotiva e spirituale. Il tempo diventa corpo. Un corpo che il regista mette in mostra spudoratamente nel suo (dis)farsi: i personaggi malati (nel corpo, nella mente e nell'anima) sono sintomo di un dolore privato che si fa universale, un dolore che attraverso la malattia, la vecchiaia e la progressiva rovina scandisce lo scorrere inesorabile del tempo.
In tal modo Bergman fa percepire il tempo insistendo sulla fisicità dell'attore e del personaggio: lo mette a nudo e lo guarda, lo osserva da vicino attraverso il primo e primissimo piano, lo cattura nello specchio (della propria e dell'altrui coscienza) e lo ritaglia da tutto il resto. Il cinema permette di astrarre e isolare il volto rendendolo completo nell'istante dell'inquadratura.
Ma il tempo per Ingmar Bergman non è solo legato alla messa in scena dell'istante (come spiega Godard in Bergmanoramama ). Vi è una ricerca (quasi ossessiva) di sintesi tra passato e presente, memoria e ricordo che, come sostiene Deleuze, sente «il desiderio di esplorare direttamente il tempo». Una temporalità in cui viviamo e in cui ci muoviamo su più livelli contemporaneamente: siamo immersi in un presente ma, nello stesso tempo, facciamo parte anche di più passati e futuri. Questo è possibile poiché non solo entrano in gioco la memoria, il ricordo, i desideri e le speranze, ma anche e soprattutto perché, come spiega Jacques Aumont, il potere e la capacità del cinema è in grado di farci "toccare" il tempo.
Quest'idea di lavorare il tempo e lo spazio liberamente, senza cioè "rispettare" del tutto le regole di reale verosimiglianza permette a Bergman di considerare il primo e primissimo piano come mezzi con cui sperimentare da un lato le possibilità di un cinema svincolato dal necessario confronto con il reale; dall'altro rende i confini di tale realtà sempre più sfocati e indefiniti, fino ad arrivare a forme estreme di astrazione e di irrazionalità. E su questi diversi livelli spazio-temporali Bergman basa l'intera struttura narrativa de Il Posto delle fragole. Infatti abbiamo da un lato il mondo reale, esteriore (quello a cui appartengono Marianne, la governante, i tre giovani e Borg-anziano); dall'altro il mondo onirico, interiore ricostruito sul felice ricordo d'infanzia del dottore (il vero "posto delle fragole", in cui ri-vivono i parenti di Borg, il primo amore Sara, e, in veste di "osservatore esterno" lo stesso Isak).
In questo caso specifico il tema del tempo(i) e del doppio hanno un ruolo centrale per tutto il film. Infatti già dalla prima sequenza si alternano alle immagini reali quelle del sogno (anche se in realtà si tratta di un incubo terrificante) in cui non solo il tempo e il doppio, ma anche la morte, la maschera, la paura, ecc. "prendono forma" in stile espressionista: la camminata nella strada deserta la vista dell'orologio senza lancette; l'incontro con l'uomo senza volto; il cadavere di se stesso che emerge dalla bara persa dal carro funebre e il conseguente "incontro" col suo stesso volto.
Al tempo reale e al (non)tempo onirico si aggiunge così la ricerca di un tempo perduto che segue una dinamica narrativa in cui le tappe del viaggio in macchina procedono in parallelo alla rappresentazione dei ricordi d'infanzia di Borg. Il percorso diventa una doppia proiezione verso il termine della vita e il ritorno alle origini: «il film scorre come il nastro fantomatico di un sogno in una dimensione spazio-temporale scomposta» .
Concentriamoci ora sulle tre esperienze oniriche che hanno luogo durante il viaggio in auto. Il primo sogno fatto da Borg è effettivamente un sogno da svegli o un sogno ad occhi aperti. Isak anziano si ferma per visitare la vecchia casa delle vacanze che vede animarsi poco per volta di tutti i personaggi (tranne lui e il padre) della sua infanzia. La presenza e il ruolo di Isak è quello tipico del sognatore: spettatore e contemporaneamente personaggio che assiste agli eventi (in questo caso anche a quelli che non ha vissuto realmente come, per esempio, le confessioni che Sara fa alla cugina) senza tuttavia farne parte direttamente .
Il secondo sogno coincide con un'altra pausa del viaggio e un apparente assopimento di Borg. Di nuovo ci troviamo nel "posto delle fragole", ma questa volta lo spazio sembra vuoto e in penombra. Anche la giovane Sara è cambiata, non è più la ragazza gentile di prima: ora è fredda e distaccata e dimostra la sua cattiveria quando pone di fronte al viso di Isak uno specchio.
È interessante la scelta che compie qui Bergman di non far mai coincidere la visione dell'immagine riflessa nello specchio con la soggettiva di Isak. Come a sottolineare attraverso questo campo-contro-campo che il nostro ruolo è quello si assistere alla visione de Il Posto delle fragole e non del "posto delle fragole" come invece è per Isak. Noi, spettatori intrusi del suo sogno, possiamo solo osservare "passivi" il gesto crudele (seppur irreale, onirico) di Sara che mette impietosamente Isak di fronte alla sua vecchiaia (fatto che invece rimane inevitabilmente reale).
Il terzo sogno inizia subito dopo che il vecchio dottore si è coricato a letto. Questa volta non si tratta né di un sogno da sveglio come era stato il primo, né di un'allucinazione come il secondo. È una rêverie, una fantasticheria che trasforma il terzo ritorno di Borg al "posto delle fragole" in un'occasione di riconciliazione con la giovane Sara. Una riappacificazione che Bergman racchiude nella serena e luminosa immagine dei genitori di Isak che salutano. Un'immagine pittorica che rimane nella memoria del dottore e con la quale, nell'ultimo fotogramma del film, si addormenta (per la prima volta) serenamente. Infatti solo ora Borg chiude gli occhi e cade finalmente in un vero sonno e solo da questo momento in poi può essere nelle condizioni di sognare davvero.
Abbiamo definito questi tre momenti onirici con tre termini diversi: sogno a occhi aperti, allucinazione e rêverie. Tuttavia essi fanno tutti parte per Bergman di quello sguardo incerto ma in realtà infallibile del revenant. Dunque la (ill)logicità del sogno senza leggi e distinzioni che ci presenta Bergman racchiude tutte le fantasticherie, tutte le allucinazioni e tutte le visioni mentali e oniriche in un unico «sogno che per il cineasta Bergman è la visione permanentemente doppia, bifronte, fungibile delle cose e delle persone, maschere perpetue di quella perpetua mascherata che è la vita e conseguentemente il cinema, il quale della vita è il simulacro».
Ora come allora, quando queste immagini incontrano i nostri occhi è come se Bergman ci prendesse per mano guidandoci nel viaggio in quel luogo senza tempo che è Il Posto delle fragole.
Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.