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Il Passato recensione] - Asghar Farhari sceglie Parigi come scenario per la sua ultima opera cinematografica, "Il passato", lungometraggio del quale è regista e sceneggiatore. Il film, presentato alla 66° edizione del festival di Cannes, ha riscosso un meritato successo. In una Parigi periferica, Marie (Berenice Bejo) accoglie, dopo quattro anni di separazione, suo marito Ahmad (Ali Mosaffa) giunto da Teheran, per definire finalmente la pratica del loro divorzio. Ahmad resta confuso dalla situazione familiare di Marie, ora legata al suo nuovo compagno Samir (Tahar Rahim), dal quale aspetta un bambino. Ma ciò che sconvolge Ahmad è il legame molto conflittuale tra Marie e sua figlia Lucie (Pauline Burlet), nata da una precedente relazione della donna, legame ormai giunto ad un doloroso punto di rottura. Ma cosa c'è dietro alla tenace incomprensione tra madre e figlia? C'è la vita, presente, passata e futura, che si delinea giorno per giorno e struttura emozioni, incomprensioni, gelosie e frustrazioni. "Il passato" è una storia che racconta un microcosmo familiare unito da conflitti, rimorsi, forse amori, situazioni difficili perché impossibile è vivere la propria vita senza tener conto dell'altro, nella sua interezza esistenziale. I personaggi del film devono tutti, bene o male, non solo fare i conti con un passato che si configura inesorabilmente nel presente, ma devono anche metabolizzare l'intreccio che si è creato attraverso le loro esistenze. Così è per Marie, che deve troncare il suo legame giuridico con Ahmad mentre nel suo grembo cresce il legame con il compagno Samir. Lo è per Samir che da otto mesi vive il dramma della moglie in coma e sa che con Marie non è più solo una storia passionale. Lucie è tormentata da un rimorso soffocante che avvelena il rapporto con la stessa madre Marie. E poi ci sono gli occhi tristi e rassegnati di Fouad, figlio di Samir, che con Léa, l'altra figlia di Marie, ha iniziato un rapporto di gioiosa complicità, in grado di sottrarlo ad una solitudine quotidiana, rapporto, però, che gli adulti non gli lasciano vivere serenamente. I dialoghi intensi, la qualità della composizione dell'inquadratura, la fiducia nel tempo cinematografico, la capacità di ritagliare uno spazio efficace dal punto di vista estetico, l'importanza dei bambini che si risolve in uno spontaneo intento pedagogico, l'adozione sempre tranquilla delle scelte stilistiche, fanno del cinema di Asghar Farhari una ricerca, carica di sensibilità sociale, perfettamente riuscita, del rapporto tra l'individuo ed il mondo del quotidiano. Così è stato per "About Elly" (Orso d'argento al Festival di Berlino) e per "Una separazione", film capolavoro, vincitore di un Oscar, opere che, attraverso la loro trama narrativa, hanno dimostrato che, per quanto potente possa essere il conflitto, esso è necessario per mettere ordine nelle esistenze individuali. Asghar Farhari con "Il passato" fornisce un'altra prova di sapiente regia e questa volta anche di valida sceneggiatura. Personaggi ben calibrati nelle loro caratterizzazioni, ritrovano alla fine le piccole ma necessarie concatenazioni con il mondo, lo spazio che occupano, la complessità dei rapporti. L'arte impura del cinematografo con Asghar Farhari si concretizza in ricerca di pura arte. Con "Il passato", il cineasta invia il chiaro messaggio che la vita di ognuno esiste sempre in un "noi" collettivo, con il quale fare i conti.
(La recensione del film "
Il Passato" è di
Rosalinda Gaudiano)
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