La recensione del film Il nome del figlio

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IL NOME DEL FIGLIO - RECENSIONE

Il nome del figlio recensione
Recensione

di D. Di Benedetti
[Il nome del figlio recensione] - A distanza di quasi sei anni dal commovente "Questione di cuore", Francesca Archibugi torna sul grande schermo grazie alla collaborazione con lo sceneggiatore Francesco Piccolo e il regista-produttore Paolo Virzì con "Il nome del figlio", tratto dalla pièce teatrale francese "Le prénom" di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, già registi e sceneggiatori dell'omonima versione cinematografica francese del 2012, giunta in Italia col titolo "Cena tra amici". Nel complesso urbano del Mandrione, a Roma, cinque amici si danno appuntamento a casa di Sandro (Luigi Lo Cascio), raffinato scrittore e colto docente universitario con un debole per i social network, e di sua moglie Betta (Valeria Golino), un'insegnante sbadata e stressata. Con loro c'è Paolo (Alessandro Gassmann), fratello di Betta, un agente immobiliare estroverso e un po' burlone, sposato con Simona (Micaela Ramazzotti), giovane ragazza originaria della periferia romana, reduce dal successo della pubblicazione del suo primo romanzo e da poco incinta, e l'amico d'infanzia Claudio (Rocco Papaleo), eccentrico musicista che cerca di mantenere in equilibrio gli squilibri altrui. L'intesa e la storica amicizia tra i cinque verrà seriamente messa in crisi quando, poco prima di cominciare la cena, Paolo rivelerà agli altri il nome che ha scelto per suo figlio… Se già in "Questione di cuore" la regista romana, vincitrice di ben cinque David Di Donatello per il suo "Mignon è partita", aveva dimostrato una forte sensibilità per quelle realtà che affollano la periferia romana, mettendo a fuoco il rapporto tra due mondi apparentemente inconciliabili (quello grossolano ma semplice del meccanico Kim Rossi Stuart e quello complesso ma futile dello sceneggiatore Antonio Albanese), con "Il nome del figlio" la sensibilità della regista esplode in un ritratto ancora più complesso e intenso della società italiana e della natura umana. In questa casa borghese nel cuore di Roma si ritrovano a cena, infatti, un po' tutte le Italie: quella delle giovani e avvenenti ragazze che grazie ai giusti agganci raggiungono traguardi altrimenti inarrivabili, quella dell'uomo di centrodestra (un po' "criptofascista") menefreghista del prossimo e di qualsiasi ideale e dedito al solo profitto e alla bella vita, quella dell'intellettuale idealista messo da parte in un Paese corrotto e disinteressato, quella dell'ordinaria insegnante di liceo divisa tra lavoro, casa e figli, quella dell'artista forse un po' grillino ed eterno scapolo. È proprio questa profonda conoscenza del contesto sociale italiano che fondamentalmente differenzia la pellicola dell'Archibugi dal suo corrispettivo cinematografico francese. Perché oltre alla riflessione sulla subdola e imperfetta natura dell'uomo, fatta di menzogna, falsità e opportunismo, sulla sua eterna solitudine e la sua incapacità comunicativa, la regista e il co-sceneggiatore Francesco Piccolo (che da sempre dimostra la sua incredibile bravura nella trattazione di personaggi complessi e sfaccettati) riescono ad adattare, per giunta anche con la giusta dose di ironia, una sceneggiatura certamente lontana dallo "Zeitgeist" del nostro Paese, e riescono a farlo senza esporsi (saggiamente) nel tentativo di dare un giudizio morale dei personaggi. La pellicola mostra così tutte le sfaccettature di un Paese complesso e variegato qual è l'Italia senza preferirne alcuna, offrendo allo spettatore un ritratto sociale onesto e veritiero, grazie anche all'apporto di un cast ben scelto e in grande sintonia. In sintesi, "Il nome del figlio" è una rivisitazione piacevole e ben scritta che non fa per nulla rimpiangere la versione originale da cui è tratta, accompagnata da un finale a sorpresa che non mancherà di stupire gli spettatori. (La recensione del film "Il nome del figlio" è di David Di Benedetti)
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