IL GRANDE LEBOWSKI di Joel e Ethan Coen
di Dario Bevilacqua
Scopo di questa rubrica è analizzare i grandi CAPOLAVORI del '900 e quindi di IERI. Contestualizzarli ad OGGI per capire se la prova del TEMPO li ha resi ETERNI o superati. Verranno presi in esame solo opere che all'epoca venivano considerati CAPOLAVORI per capire, analizzando il contenuto e la forma, gli aspetti che li hanno resi tali da essere, circoscritti al loro TEMPO per ovvi motivi sociali o, ETERNI anche OGGI e DOMANI.
Jeffrey Lebowski (Bridges, assolutamente perfetto: capelli, barba lunga e vestiti comodi, con la sua aria stralunata e sfrontata incarna con stile e personalità il ruolo del "loser di successo"), detto il "Drugo" (ma il soprannome italiano perde tutte le connotazioni culturali del termine inglese "the Dude ") , disoccupato e fannullone, viene scambiato da due estorsori per il suo omonimo milionario e pestato, a causa dei debiti contratti dalla moglie di quest'ultimo. Risolto l'equivoco e recuperato un tappeto in cambio di quello danneggiato dagli scagnozzi dei creditori, che ci avevano urinato sopra, il Drugo viene assunto dal milionario per un lavoretto: pagare il riscatto per la moglie, che sembra essersi auto-rapita. Tutto appare facile, ma gli imprevisti e le sorprese non mancheranno. Che i fratelli Coen fossero degli abili incantatori già si sapeva, che sapessero fare dell'ottimo cinema - fatto di storie grottesche, paradossali e ironiche - anche, ma qui i due fratelli di Minneapolis si superano, riuscendo ad ottenere una sintesi perfetta dei loro ingredienti. C'è la comicità pura, condita di ironia e sarcasmo (anche grazie a Goodman, che nel ruolo dell'ex veterano violento e irascibile è non solo geniale, ma anche esilarante), i virtuosismi stilistici (le rappresentazioni visionarie dei sogni del Drugo spiccano per originalità e tecnica visiva) e l'intreccio formidabile, avvincente e complesso, profondo e sardonico al tempo stesso. "Il grande Lebowski" va giù come un " White russian", il drink amato dal suo protagonista, e si scatena come un'irrefrenabile cavalcata attraverso le praterie dei vizi degli uomini, con un antieroe sereno e disposto all' amor fati : Jeffrey Lebowski è il solo in grado di resistere indomito alla follia della società in cui vive, mentre gli esseri che lo circondano sembrano tutti idioti avvelenati da avidità, rancori e manie. Egli è, secondo gli attuali standard americani (ma ormai anche europei), un vero perdente (il ricco Lebowski gli grida dietro: "avete perso!" e si riferisce agli sbandati, agli hippies e al loro stile di vita), un parassita. Tuttavia, non solo è il personaggio che vive meglio degli altri (mentre Los Angeles, America e mondo corrono senza una meta), ma il suo modo di fare e il suo stile di vita sembrano essere l'unica risposta alla solenne domanda del suo ricco omonimo: "cosa fa di un uomo, un uomo?". Il film colpisce altresì per la filosofia rilassata che riesce a trasmettere e grazie alla quale ottiene un gran successo e la patente di film di culto. Il messaggio della vita slow ed easy è perfettamente veicolato dallo spensierato gioco del Bowling che, come ha detto qualcuno, ha il "vantaggio, rispetto al golf, che raramente si perdono le bocce" e magicamente personificato nel personaggio del Drugo. Tutti bravi gli attori (anche quelli con ruoli minori, come Hoffman e Buscemi). Si segnalano due camei: Gazzara (misurato) e Turturro (eccessivo, ma fantastico). Sopraffina, immaginifica e spiazzante la regia. Splendida, infine, la colonna sonora che annovera, tra gli altri, brani indimenticabili di Bob Dylan e dei Creedence Clearwater Revival. "Il grande Lebowski" è un vero e proprio cult , un piccolo capolavoro irriverente. Lo era IERI, lo è OGGI e lo sarà DOMANI.